Approccio Culturale alla Formazione del Clima Organizzativo
Numerosi studi mostrano prove che il clima organizzativo esiste come entità empiricamente verificabile (Drexler, 1977; O’Driscoll & Evans, 1988; Paolillo, 1982; Zohar, 1980 ). Però una esauriente spiegazione delle modalità della sua formazione o come emerga non è stata ancora sviluppata. Il problema centrale riguardante la formazione del clima organizzativo è come gli individui che sono sottoposti ad una vasta gamma di stimoli arrivino a avere percezioni relativamente omogenee degli stessi e, per di più, attribuiscano medesimi significati ai tratti salienti della vita organizzativa (Schneider & Reichers, 1983). Le controversie puramente tecniche sul problema della formazione del clima organizzativo sono legate all’assenza di una adeguata composizione teorica. James mostra queste questioni nei seguenti termini; Quello di cui ci occuperemo adesso sarà la “unità teorica” del clima e la “composizione teorica” del clima. Il primo termine si riferisce all’accuratezza del livello di operazionalizzazione del costrutto, individuale o organizzativo, il secondo termine si riferisce alla specificazione del modo con il quale un costrutto operazionalizzato ad un livello di analisi, ad esempio, clima psicologico, è correlato ad un’altra forma di questo costrutto corrispondente ad un diverso livello di analisi, ad esempio, il clima organizzativo (1982, p. 219). Dunque il dilemma sta in questo: il clima organizzativo è stato provato essere un fenomeno organizzativo, perciò, un modello teorico deve considerare i processi attraverso i quali le percezioni degli individui si trasformano in entità organizzative. Malgrado inadeguatezze, si sono avuti un certo numero di tentativi che tenevano conto di questi processi e spiegavano il modo con cui il clima organizzativo si formasse. Li possiamo raggruppare in tre generali categorie: ” lo strutturale “, ” il percettivo “, ” l’interattivo “. Questi sinteticamente rappresentano gli approcci comparsi nella letteratura legata alla teoria organizzativa negli ultimi 25 anni che hanno contribuito allo sviluppo del concetto di clima. Successivamente li affronteremo in maniera critica e analitica. Un ulteriore contributo lo abbiamo dall’approccio denominato ” culturale “. Questo modello teorico si basa sull’approccio interattivo e assume le interazioni tra i membri del gruppo come chiave determinante del clima organizzativo, ma aggiunge come ipotesi che influenza predominante su queste interazioni venga esercitata dalla porzione di significati e conoscenze mediati dalla cultura organizzativa. Gli spunti offerti dall’approccio culturale permettono di dare una esauriente definizione del clima organizzativo. Definizione che incorpora elementi desunti da precedenti definizioni, in particolare quelle di Forehand e Gilmer (1964) e Pritchard e Karasick (1976) ma anche le dimensioni del clima riferite da DeCotiis e Kays (1980). Questo approccio inoltre sottolinea il ruolo giocato dalla cultura organizzativa nella produzione di un sistema di credenze consensualmente condiviso che emerge dall’interazione tra membri e che influenza il comportamento degli individui. Il clima organizzativo è una caratteristica relativamente omogenea di una organizzazio e ciò permette di distinguerla da altre organizzazioni: 1. incorpora le percezioni collettive che gli individui hanno della loro organizzazione considerando dimensioni come autonomia, fiducia, coesione, sostegno, riconoscimento, innovazione, equità; 2. è prodotto dall’interazione tra i individui; 3. si usa come base per l’interpretazione della situazione; 4. riflette la cultura organizzativa ed i prevalenti valori normativi e atteggiamenti ; 5. esercita la sua influenza modellando il comportamento. La definizione di clima di questo approccio rende inevitabile un’accurata distinzione tra i concetti di cultura e clima, compito che intraprenderemo nella parte finale dell’articolo. Però, prima di tutto, è necessario spiegare l’importanza della comprensione della formazione del clima organizzativo, come pure l’utilità della distinzione tra cultura e clima.
L’importanza delle ricerche su clima e cultura
Glick (1985) osserva che ” la ricerca sul clima ha una prominente storia, seppur non gloriosa, nella scienza organizzativa ” (p.601). La sua osservazione è sostenuta dal fatto che il clima è stato oggetto di numerosissime rassegne negli ultimi venticinque anni (Campbell, Dunnette, Lawler, & Weick, 1970; Field & Abelson, 1982; Glick, 1985; Hellriegel & Slocum, 1974; Hoy & Kottkamp, di prossima pubblicazione; James & Jones 1974; Litwin e Stringer, 1968; Payne & Pugh, 1976; Peterson, Cameron, Mets, Jones & Ettington, 1987; Schneider, 1975; Tagiuri & Litwin, 1968; Tierney, 1990; Woodman & King, 1978). Il clima è un costrutto proteiforme con importante potere esplicativo. Ad esempio, si è empiricamente dimostrato che il clima esercita una significativa influenza sulla performance organizzativa ( Franklin, 1973, 1975; Mudrack, 1989; Likert, 1961, 1967; Moss-Kanter, 1983), ma anche sulle motivazioni e comportamenti individuali ( Bowers, 1976; DeCotiis & Summers, 1987; Lafollette & Sims, 1975; Litwin & Stringer, 1968; Pritchard & Karasick, 1976; Schneider & Snyder, 1975). Il potere esplicativo del costrutto risiede nella sua capacità di chiarire il legame concettuale tra fenomeni verificantesi ai livelli organizzativi e individuali ( Falcione, Sussman, & Herden, 1987). I ricercatori sono ulteriormente convinti della necessità di unire questi micro e macro livelli di analisi al fine di migliorare la comprensione dei fenomeni organizzativi ( Asley & Van deVen, 1983; Pfeffer, 1982; Jelinek, Smircich, & Hirsch, 1983). Per di più l’integrazione di questi livelli allontana l’analisi organizzativa dalle qualità più statiche e strutturali della organizzazione, avvicinandola verso i processi più dinamici dell’ ” organizzare ” ( Pettigrew, 1979; Weick, 1979). Malgrado la prominenza delle ricerche sul clima il costrutto rimane ancora mal definito e confuso ( Field & Abelson, 1982). Come abbiamo detto l’incertezza esiste sia rispetto al livello di analisi al quale dovrebbe essere più appropriatamente compreso (Guion, 1973; Glick, 1985), sia sui processi attraverso i quali si forma (Ashforth, 1985; James, 1982). Sfortunatamente, inoltre, molti studi sul clima sono empirici e non teorici. Questi ultimi rappresentano il tentativo di documentare l’esistenza, la natura o la dimensionalità del clima, come pure le sue relazioni con altri fenomeni organizzativi, ma trascurano la questione della sua formazione. Di conseguenza trattano soltanto i problemi incontrati nella operazionalizzazione del concetto, oppure, più recentemente, nel fare la distinzione tra clima e cultura come preoccupazione metodologica (Peterson et al., 1987). Ulteriori complicazioni si ebbero nei primi anni ’80 dal sorgere preponderante dell’approccio culturale. Certi ricercatori erano convinti che la cultura fosse poco più di un sinonimo del concetto di clima ( Schneider, 1985; Ouichi, & Wilkins, 1985). Un’accurata distinzione tra i due costrutti, tuttavia, richiama la consapevolezza della distinzione che deve essere concepita per evitare che la cultura diventi un concetto troppo esteso tanto da perdere qualsiasi significato identificabile; un problema che Glick (1985) dice appartenere alla ricerca sul clima. Allo stesso modo la ricerca sul clima organizzativo non può fare progressi finché non vengono risolte le confusioni teoriche che la circondano (Woodman & King, 1978); Ancora. Questo articolo spiega che i due costrutti, pur essendo concettualmente distinti, sono legati dall’influenza che la cultura organizzativa esercita sulla formazione del clima organizzativo. L’importanza della unità di ricerca sulla cultura e sul clima deriva dalla consapevolezza che questi sono forse i due più validi e potenti costrutti che i ricercatori hanno a disposizione per comprendere sia le dimensioni espressive, comunicative e umane delle organizzazioni, che l’importanza da essi assunta nella strutturazione della vita organizzativa (Mumby, 1988; Smircich, 1985). La potenziale confusione tra questi due costrutti è sottostimata dalla maggior parte delle più recenti ricerche (Hofstede, Neuijen, Ohayr, & Sanders, 1990). In una ricerca empirica condotta su larga scale, che analizzava dieci differenti organizzazioni, questi ricercatori trovarono che in opposizione alle assunzioni teoriche (Deal & Kennedy, 1982), gli elementi maggiormente distintivi della cultura organizzativa risiedevano principalmente nel modo con cui venivano percepite le consuetudini organizzative dai membri appartenenti all’organizzazione. Come spiegheremo successivamente, è proprio questo il livello nel quale possiamo appropriatamente definire il clima organizzativo. Questa nuova ricerca mostra una sovrapposizione tra i due costrutti, ma anche che vi è una pressante necessità teorica di spiegare le relazioni e intersezioni tra cultura organizzativa e clima.
GLI APPROCCI ALLA FORMAZIONE DEL CLIMA
L’approccio strutturale
La prima spiegazione sulla formazione del clima possiamo chiamarla approccio strutturale (tutti gli approcci che discuteremo in questo articolo sono sinteticamente presentati in Tavola I). Questo approccio considera il clima come caratteristica o attributo appartenente all’organizzazione. Questi attributi esistono indipendentemente dalle percezioni individuali dei membri, come posseduti dall’organizzazione stessa. L’approccio strutturale è simile a quello che James & Jones (1974) denominavano ” l’approccio agli attributi organizzativi- le misure percettive ” o a quello che Schneider & Reichers (1983) chiamavano l’argomentazione strutturale. L’approccio strutturale si interessa dei rapporti tra misure percettive e obiettive del clima organizzativo. Guion (1973) propose un cambiamento nella ricerca empirica inerente questo problema dicendo che se il clima organizzativo è considerato au attributo dell’organizzazione, ma desunto da misure percettive, allora l’accuratezza delle percezioni dovrebbero essere convalidate attraverso misure oggettive, esteriori. Payne & Pugh (1976) presentano una analisi specifica e dettagliata della prospettiva strutturale, Secondo il loro punto di vista le condizioni reali della struttura organizzativa rappresentano la chiave determinante gli atteggiamenti, valori, percezioni degli eventi organizzativi da parte dei membri della stessa. Pertanto, il clima si forma dagli aspetti oggettivi della struttura organizzativa, che possono essere le dimensioni della stessa, il grado di centralizzazione delle decisioni, il numero dei livelli gerarchici, il tipo di tecnologia impiegata, e quanto i ruoli formali e le politiche del personale prescrivono il comportamento individuale. Tra le altre, le ricerche di Indik (1965), Inkson, Pugh, e Hickson (1970), e Lawler, Hall, e Oldham (1974) hanno mostrato delle relazioni tra fattori strutturali come quelli sopra elencati e clima organizzativo. La Figura 1 ci dà una rappresentazione visiva di questo approccio. Come sopra spiegato, possiamo vedere come la struttura organizzativa produca un clima organizzativo con proprietà indipendenti da quelle individuali percepite dai membri dell’organizzazione stessa. Fig. 1. Rapporto tra clima strutturale e clima organizzativo In altre parole, il clima è una manifestazione oggettiva della struttura organizzativa che gli individui incontrano ed acquisiscono. Il clima organizzativo è invece l’effetto delle percezioni comuni dei membri che sono esposti ad una medesima struttura organizzativa. Alcuni dilemmi inerenti l’approccio strutturale. Primo, dal momento che i fattori strutturali del tipo indicato precedentemente appartengono comunemente ad intere organizzazioni, l’approccio strutturale non può spiegare quelle ricerche che hanno verificato climi diversi in gruppi di lavoro appartenenti alla medesima organizzazione ( Howe, 1977; Johnston, 1976; Moran & Volkwein, 1988; Powell & Butterfield, 1978). Secondo, dal momento che l’approccio strutturale contesta che il clima sorga in risposta specifici aspetti della struttura organizzativa, logica conseguenza deve mostrare che il clima organizzativo è in rapporto stringente e significativo con le caratteristiche strutturali. Molte ricerche riportate nella letteratura dimostrano un elevato grado di inconsistenza tra struttura e clima e fattori ad essi legati (Berger & Cummings, 1979). Un ulteriore e forse più grave problema dell’approccio strutturale è legato all’assunto che gli individui sono capaci di percepire i fattori strutturali con notevole ( anche se non completa ) accuratezza e che tali percezioni descrivono i tratti più salienti del clima. In altre parole, questo approccio considera inadeguatamente l’impatto soggettivo che le variabili strutturali hanno sulle reazioni individuali ad una situazione ( Bhagat & McQuaid, 1982). Per di più non si rende esplicito il discorso sui processi interpretativi che si hanno tra individui appartenenti a diversi gruppi che interagiscono tra loro e che frazionano una comune cultura organizzativa. Conseguentemente il tentativo di trovare un alto grado di colinearità tra insieme percettivo del clima organizzativo e misure oggettive tratte da quelle variabili che sono indipendenti dalle percezioni dei membri sviano i ricercatori poiché in questo modo si nasconde il significato fondamentale del costrutto. Il clima organizzativo non à essenzialmente un insieme di percezioni ( che sono mediate dalla accuratezza percettiva ) delle caratteristiche dell’organizzazione, delle quali gli individui tengono conto. Se così fosse, non dovrebbero esserci differenze tra misure del clima organizzativo e misure oggettive dell’organizzazione, eccetto la varianza di errore dovuta all’inadeguatezza delle procedure di misura e/o alla distorsione percettiva. Sebbene l’approccio strutturale suggerisca che la completa convergenza tra fattori percettivi e oggettivi possa essere teoricamente possibile, simili condizioni sono improbabili perché, come spiegheremo, il clima organizzativo non è tanto la misura di un insieme di percezioni individuali di caratteristiche organizzative, quanto la misura del significato sociale attribuito dal collettivo.
L’approccio percettivo
L’approccio percettivo, chiamato anche approccio percettivo/psicologico assume punti di vista discordanti. Mentre la prospettiva strutturalista pone in sostanza le basi delle origini del clima nelle proprietà delle organizzazioni, l’approccio percettivo pone l’origine del clima nell’individuo. James e Jones (1974) danno una definizione simile a quello che chiamano ” l’approccio degli attributi individuali-misurazione percettiva “. L’approccio percettivo assume che gli individui reagiscono ed interpretano le variabili situazionali non solo sulle basi delle caratteristiche oggettive della specifica situazione o degli attributi strutturali, ma anche a quegli aspetti che sono psicologicamente significativi per loro (James, Hater, Gent, Bruner, 1978). Tuttavia in questa forma pura l’approccio percettivo non ha completezza teorica. Il clima è osservato soltanto a livello individuale come clima psicologico, che è definito come ” una descrizione del contesto fondata su basi percettive ed elaborazioni psicologiche ” (James et al., 1978, p. 784). Quindi il clima psicologico è il prodotto di elaborazioni percettivo-cognitive che danno come risultato delle rappresentazioni cognitive che riflettono l’interpretazione del contesto, in quegli aspetti che sono psicologicamente significativi per gli individui (James e Jones, 1974; James et al., 1978). Come descritto nella Figura 2, secondo questo approccio, il soggetto percepisce il contesto organizzativo e crea una astrazione o rappresentazione psicologica del clima. L’inclusione del concetto ” contesto organizzativo ” allarga l’attenzione oltre le ristrette proprietà strutturali, come faceva il precedente approccio. Con il termine condizioni organizzative si vuole rappresentare le struttura, ma anche i processi che caratterizzano le organizzazioni. Fig. 2. Descrizione del modo con cui un individuo percepisce il contesto organizzativo creandosi la rappresentazione del clima. Di questi processi caratteristici fanno parte le comunicazioni, influenza, leadership, modalità del processo decisionale, che agiscono nell’organizzazione. Inoltre i ricercatori appartenenti alla prospettiva psicologica sottolineano che il clima è mediato da variabili legate alle personalità, alla struttura dei compiti, allo stile di supervisione (Field e Abelson, 1982). Concettualmente, l’approccio percettivo afferma che esistono almeno due modi per determinare il clima complessivo. In entrambi le componenti psicologiche ne costituiscono il fondamento. Un metodo viene chiamato approccio selezione-attrazione-attrito (SAA) (Schneider e Reichers, 1983). Delineando l’approccio SAA, Schneider e Reichers postulano che l’insieme dei processi selettivi della organizzazione processi individuali, attrazione verso l’organizzazione, creano condizioni relativamente omogenee in specifiche organizzazioni. Conseguentemente, i membri hanno percezioni simili ed attribuiscono medesimi significati alle situazione, perché i membri stessi sono in qualche modo simili l’uno con l’altro. Un altro metodo mutuato dall’approccio percettivo, per poter parlare di clima complessivo, fu presentato da Joyce e Slocum (1984). Joyce e Slocum parlavano di ” clima collettivo ” dato dalla classificazione o raggruppamento dell’insieme degli individui sulla base dell’accordo sulla percezione del clima di un’organizzazione. Classificazione che possiamo chiamare post hoc e, quantunque fosse creata dagli individui di una medesima organizzazione, venivano completamente ignorate le sub-unità formale che delimitavano le organizzazioni. (In un’altra ricerca di Joyce e Slocum (1982) il clima veniva concettualizzato in maniera sostanzialmente simile a sopra, ma impiegarono una diversa metodologia che chiamarono ‘” discrepanze climatiche “). Joyce e Slocum (1984) sono convinti che la nozione di ” clima collettivo ” dia completezza alla teoria dei climi organizzativi. Le loro ricerche poi, dimostrano soltanto che ci sono individui secondo i quali le situazioni mantengono ” un comune valore stimolo ” pertanto non è sorprendente che le analisi eseguite sulla totalità di questi individui verificheranno la necessaria validità di costrutto data dalla discriminazione, consistenza interna e rapporti prevedibili come criteri rilevanti. Per dare però completezza teorica, sarebbe necessario descrivere i processi attraverso i quali le percezioni degli individui vengono trasformate, in modo relativamente omogeneo, in attributi organizzativi durevoli e dotati di sufficiente stabilità. Quello che invece Joyce e Slocum hanno trovato è che esistono un numero relativamente piccolo di cluster che compongono le dimensioni climatiche nelle organizzazioni e che gli individui con tratti psicologici simili possono essere classificati secondo questi cluster. Potrebbe essere interessante collegare tratti psicologici come la personalità al clima organizzativo, ma ciò non dà completezza teorica in se. Il problema centrale dell’approccio percettivo è che attribuisce la fonte principale del clima nei soggetti, negli individui; questo può ostacolare le opportunità di una vera completezza teorica. Ancora più importante, questo approccio considera implicitamente che il significato è qualcosa che gli individui apportano e impongono ai processi ed eventi organizzativi. Conseguentemente quest’approccio dà eccessiva attenzione al modo con cui viene percepita una situazione, ma poca all’interpretazione e attribuzione di significato che sono prodotte dall’interazione tra i membri dell’organizzazione. Un principio fondamentale dell’approccio percettivo è che la costruzione del clima si presenta come funzione di quello che gli individui percepiscono degli aspetti che favoriscono l’adattamento alle condizioni organizzative. Pertanto fornirebbe loro quella mappa cognitiva o strumento guida per un comportamento appropriato (James et al., 1978). James et al., sottolineano tuttavia che i progressi ottenuti dalla psicologia interattiva (vedi per esempio, Terborg, 1981) e dalla teoria dell’apprendimento sociale ( vedi ad esempio, Bandura, 1977) suggeriscono che gli individui non si sforzano soltanto di ottenere una adattamento immutabile al loro ambiente, piuttosto i rapporti tra persone e situazione sono l’uno causa dell’altro, rapporto nel quale gli individui non cambiano soltanto in risposta alla situazione ma esercitano sul loro ambiente un intervento attivo che ha la finalità di mutarlo. Progressi simili si sono avuti anche nella teoria organizzativa che ha recentemente posto il problema che l’interazione tra gruppi caratterizza realmente l’ambiente in cui sono inseriti. (Pfeffer e Salancik, 1978; Weick, 1979). Joyce e Slocum contestano che: ” L’accordo percettivo sia il solo punto di partenza per dare completezza teorica al clima organizzativo. Uguale importanza è data dalla struttura che distingue questo consenso nell’organizzazione” (1984, p. 737). Questa è invece la posizione che prendiamo nel presente articolo, dove diciamo che l’accordo percettivo è, nella sua essenza, il risultato del clima organizzativo e che l’interazione tra i membri dell’organizzazione produce un modello o una struttura di significati che consente l’accordo percettivo.
L’approccio interattivo
Il prossimo approccio, chiamato approccio interattivo, non è che si distingua molto dai due precedenti approcci. Diversamente dall’approccio strutturale, questo non assume che l’origine del clima si debba trovare nelle caratteristiche dell’organizzazione. Non asserisce neanche che sia forgiato in primo luogo dagli individui. La tesi basilare di quest’approccio è che l’interazione tra individui in risposta al loro contesto che evidenzia il consenso delle parti, rappresentando così la fonte del clima organizzativo. Alcuni ricercatori hanno definito il clima organizzativo come la combinazione tra caratteristiche delle personalità che interagiscono con gli elementi strutturali dell’organizzazione (Gavin, 1975; George e Bishop, 1971). Ricerche empiriche più recenti hanno verificato che la comunicazione è una componente centrale che contribuisce alla formazione del clima organizzativo (O’Driscoll e Evans, 1988; Welsch e La Van, 1981). La Figura 3 ci fa vedere le relazioni che intercorrono tra contesto organizzativo, percezione del soggetto, interazione tra i membri del gruppo e clima organizzativo. Possiamo vedere che il clima organizzativo diventa una sintesi rappresentativa creata dall’interazione tra membri di un gruppo. Fig. 3. Rapporto tra contesto organizzativo, percezione individuale, membri del gruppo e clima organizzativo. Come possiamo notare l’approccio interattivo ha al suo interno significati molteplici. Da un lato riferendosi alle interazioni tra individui, sottolinea l’importanza di queste nel processo di apprendimento e nell’interpretazione della realtà organizzativa. Dall’altro, tuttavia, la prospettiva interattiva riconosce che i processi intersoggettivi generanti significato, che saranno descritti sotto, richiedono l’interazione tra contesti oggettivo e consapevolezza soggettiva. Questa rappresenta la differenza più marcata con le assunzioni incorporate nei due precedenti approcci. L’approccio strutturale è legato a quella tradizione intellettuale che propone che la realtà deriva dalle condizioni oggettive. Nell’approccio percettivo, all’inverso crede che la realtà esista nella coscienza soggettiva degli individui. In nessun degli approcci queste assunzioni figurano in modo predominante né si affronta l’annoso dibattito filosofico sulla divisione tra soggetto e oggetto. Tuttavia, in qualche modo, i concetti di dualità oggettiva/soggettiva sono fondamentali nel contrasto tra il punto di vista dell’approccio strutturale con quello dell’approccio percettivo. Proponendo un modello delle dinamiche attraverso le quali il significato viene raggiunto attraverso il rapporto intersoggettivo, l’approccio interattivo permette di legare i due punti di vista in competizione. Questo contesta che il significato non è inerente alle caratteristiche degli oggetti esterni, e che deve essere scoperto, né che venga prodotto dalla consapevolezza soggettiva dell’individuo. Il significato è invece creato perché gli attori sociali si orientano intenzionalmente verso il mondo là fuori e anche perché l’intenzionalità richiede coscienza dell’oggetto il quale ha a sua volta una sua propria autonomia. In altre parole, la coscienza richiede una consapevolezza di qualcosa che l’attore sociale ha esperito come fenomeno dotato di senso (Mumby, 1988). Durante l’incessante esplorazione dei fenomeni, visti attraverso le lenti delle precedenti esperienze collettive e dei propri intenti, i membri affrontano quello che possiamo chiamare processo costruttivo di significazione dei fenomeni organizzativi. Ci sono due modi per spiegare il clima nella prospettiva interattiva: quello fenomenologico e quello dell’interazionismo simbolico. I due sono abbastanza simili nelle basi, ma mutuate da filosofi affatto diversi. La nascita della prima spiegazione è tratta dalla fenomenologia che si fonda sul concetto di intersoggettività, che fu approfondito dal filosofo tedesco Edmund Husserl, poi adottato da alcuni teorici del clima organizzativo come Joyce e Slocum (1979), Poole e McPhee (1983). L’intersoggettività è il processo attraverso il quale si stabilisce un legame tra punti di vista , interpretazioni, valori, credenze, etc, tra i membri dell’organizzazione. Per prima cosa, si comincia ad avere consapevolezza che gli altri hanno esperienze simili alle proprie. Si assumono gli altri come modello costituente il proprio sé. La consapevolezza e incorporazione degli altri nel proprio sé ha come conseguenza che gli altri diventano parte della coscienza individuale. La seconda fonte dell’approccio interattivo è mutuata dall’interazionismo simbolico del filosofo americano George Herbert Mead che approfondì le relazioni intercorrenti tra sé e significato. Le idee di Mead furono adattate e applicate al concetto di clima organizzativo da Schneider e Reichers (1983). Come Mead, gli autori affermano che individuo e mutevolezza dell’ambiente determinano gran parte dei fenomeni. Questa rappresenta sinteticamente la posizione assunta anche dalla prospettiva della psicologia interazionale che prima abbiamo citato ( Sells, 1968; Terborg, 1981). Da un approfondimento del lavoro di Mead da parte di Blumer (1969), Schneider e Reichers trovano il modo attraverso il quale queste idee possono diventare efficaci e applicabili anche nella teorizzazione sul clima organizzativo. Blumer sottolinea che il significato ( che include le percezioni, le descrizioni e le valutazioni) non esiste nella specifica cosa in sé, né risiede nel soggetto percepente. Il significato delle cose sorge dall’interazione tra la gente. L’attività dell’altro interviene nella definizione di un evento, pratica, o procedura per una certa persona. Tuttavia ciò non significa che la gente adotti passivamente il significato che gli altri forniscono loro. L’individuo, invece seleziona, sospende, raggruppa e trasforma le proprie percezioni sugli eventi alla luce delle interazioni che hanno con gli altri nel contesto (Schneider e Reichers, 1983, p. 30). Quantunque quest’ultimo brano parli dell’interazione tra i soggetti come fonte di significato, vengono sottolineati i modi con i quali il soggetto elabora le informazioni ottenute dagli altri anziché il modo con cui un gruppo di soggetti produce significati. Viene inoltre amplificato che il significato ultimo, questo aspetto però deve essere maggiormente chiarito, è in essenza specificato dal soggetto in conflitto con entità specifiche collettivamente e storicamente determinate. I vantaggi che possiamo trarre dal concetto di intersoggettività predomina nelle linee di pensiero che saranno affrontate nella prossima sezione di questo articolo, perché ci permette di considerare con chiarezza la nozione di coscienza parziale tra gli individui, che è a sua volta considerata essere un requisito elementare della cultura organizzativa. Abbiamo considerato le due fonti, attraverso le quali è possibile identificare il clima, dell’approccio interattivo, per la ampiezza del contesto e l’estensione della cultura organizzativa nella sua influenza sulle interazioni tra i membri di un gruppo. L’approccio interattivo riconosce che gli individui sviluppano percezioni parziali del loro contesto, e.g., il clima. Inoltre contesta che il significato di questo quadro comune di interazioni non è dato o fissato da una realtà oggettiva, ma richiede l’interazione tra individui. Pertanto il significato è descritto come ” socialmente costruito ” (Berger e Luckman, 1967; Mumby, 1988; Wuthnow e Witten, 1988). Tuttavia quello in cui la prospettiva interattiva fallisce in pieno sta nella spiegazione del modo con cui il contesto sociale, o più precisamente la cultura organizzativa, modella le interazioni. In altre parole, l’interazione tra individui non formano ” de novo “, le loro comuni percezioni. Le interazioni sono fortemente regolate e veicolate dalla profondità dei significati che la cultura organizzativa manifesta attraverso elementi come valori, norme e riti. Ad esempio, le dimensioni salienti del clima come la fiducia, sostegno e equità non hanno in sé qualità universalmente accettate. Queste dimensioni non vengono definite indipendentemente dal loro contesto, in questo caso, indipendentemente dalla cultura organizzativa. Il prossimo approccio, che presenteremo in questo articolo, esamina il modo attraverso il quale tali processi producono significati che hanno la capacità di strutturare quelle interazioni attraverso le quali i gruppi forgiano il clima organizzativo di in una specifica cultura organizzativa.
L’approccio culturale
Gli approcci strutturale, percettivo e interattivo sono ciascuno l’estensione concettuale del precedente. Tuttavia, questi approcci non prendono in considerazione il modo con cui percezioni e interazioni vengono di fatto influenzate dalla cultura dell’organizzazione con la quale gli individui coesistono. Ashforth parlando del collegamento tra cultura e clima ha notato che: ” non ci sono grandi diversità tra i concetti di cultura e clima ” (1985, p. 841). Però né lui né McPhee (1985), che allude anch’esso al rapporto tra cultura e clima, approfondiscono o definiscono questa relazione. Questo lo faremo adesso. L’approccio culturale che andremo a spiegare è collegato alla recente corrente della teoria costruttivista spesso indicata come paradigma interpretativo (Lincoln e Guba, 1985; Mumby, 1988). Il paradigma interpretativo ci presenta un punto di vista sul modo attraverso il quale i gruppi organizzativi forgiano un significato comune di storie, valori, intenzionalità e propositi attraverso l’interpretazione collettiva dei membri che ne fanno parte. A tal proposito, ci spostiamo dall’attenzione posta dall’approccio interattivo sulle componenti psicologiche, verso uno più sociologico. L’analisi passa da un interesse per la consapevolezza della relazione ad un’altra che cerca di rendere esplicito il modo attraverso cui il comportamento collettivo o di gruppo si rende possibile. Si attiva così un orientamento concettuale che considera più di un insieme di variabili culturali, che non possono essere semplicemente essere aggiunte all’approccio interattivo. In opposizione all’approccio strutturale, in particolare alla sua considerazione delle proprietà formali delle organizzazioni, oppure all’approccio percettivo che focalizza la sua attenzione sulle caratteristiche psicologiche dei membri, e all’approccio interattivo che esamina il modo attraverso il quale la coscienza degli individui fonde questi elementi, l’approccio culturale focalizza la sua attenzione sul modo attraverso il quale i gruppi interpretano, costruiscono, negoziano la realtà, attraverso la creazione di una cultura organizzativa. La cultura organizzativa contiene gli elementi fondamentali che sono, i valori, gli accordi negoziali, i significati storicamente costruiti che orientano le azioni verso il consenso e i progetti comuni e che rendono possibili gli sforzi organizzativi e dunque, l’esistenza dell’organizzazione stessa. La cultura, con il senso che qui lo usiamo, può essere intesa come sistema ideazionale (Keesing, 1974). in quanto sistema si focalizza su tipi di significati rappresentati da valori, norme, conosceze formali, credenze e forme espressive (Parsons, 1960). L’aspetto ideativo della cultura contiene diverse scuole di pensiero, ci sono utili per capire il ruolo della cultura in un contesto. La prima è la scuola cognitiva. Questa vede la cultura come un sistema di conoscenze o come modelli appresi attraverso la percezione, credenze, e valutazione che permette agli individui di agire in modo accettabile con altri membri del gruppo o con altri membri di altri gruppi (Goodenough, 1971). Questa prospettiva racchiude le posizioni presentate prima da Schneider e Reichers (1983) nell’approccio interattivo al clima. In entrambi i casi si enfatizzano le implicazioni che hanno per i processi cognitive le interazioni tra gruppi e le relazioni tra questi processi con la costruzione del significato individuale. C’é anche un parallelismo tra queste posizioni mostrate anche nella psicologia sociale e nell’antropologia, con la tradizione fenomenologica della sociologia (Berger e Luckman, 1967; Schutz, 1967). Una più forte distinzione del punto di vista culturale, con importanti ramificazioni per l’opposizione tra cultura e clima, è data dalla scuola simbolica o semiotica. Questa scuola polemizza sul fatto che la cultura sia un mero riflesso dei processi cognitivi e dei comportamenti appresi. ” Non si dovrebbe guardare nella testa delle persone, ma ai significati e ai pensieri degli attori sociali ” (Allaire e Firsirotu, 1984, p. 198). La cultura deve essere intesa come prodotto della mente, miti, ideologie, norme, valori che rappresentano i significati simbolici che un sistema di significati condivisi dai membri del gruppo. Dunque, la cultura esiste non nei processi cognitive delle persone ma nelle interazioni tra individui. La cultura poi costituisce il contesto per interpretare un sistema ordinato di significati entro i quali le interazioni sociali si determinano. La sua essenza è quella di ” edificare significati in funzione dei quali gli individui interpretano le loro esperienze e guidano le loro azioni ” (Geertz, 1972, p. 145). Questa definizione è comunemente condivisa dal punto di vista della cultura organizzativa della ” scuola istituzionale ” della sociologia (Clark, 1972; Selznick, 1957). La Figura 4 ci dà una rappresentazione visiva del modello che abbiamo chiamato approccio culturale al clima organizzativo. Il modello mostra che il clima organizzativo occupa una porzione specifica dello spazio costruito dalla cultura organizzativa. Nel modello sono incluse le condizioni o caratteristiche organizzative che contengono elementi del (1) conteso come, tipi di controllo, orientamenti generali, dominio, ed età, (2) struttura come, ampiezza, complessità e formalizzazione, (3) processi come, comunicazione, schemi di influenza, processi decisionale, e (4) impatto ambientale come, impatto delle turbolenze ambientali sul cambiamento dell’organizzazione. le condizioni o caratteristiche dell’organizzazione sono rappresentate per come vengono viste dagli individui che entrano in contatto con essa. La percezione delle caratteristiche organizzative è moderata dalla personalità di colui che le percepisce e dalla struttura cognitiva, però, le percezioni individuali sono contemporaneamente trasformate dai rapporto intersoggettivi tra individui dell’organizzazione. L’intersoggettività influenza anche la creazione del clima organizzativo. Fig. 4. L’approccio culturale al clima organizzativo Il modello fa vedere che il clima è anche influenzato dalla cultura organizzativa, la quale ricorre come moderatore delle percezioni individuali e influenza che ricevono anche i processi intersoggettivi. così, mentre il clima modella le interazioni nell’organizzazione, interazioni che non subiscono soltanto l’intervento del clima dell’organizzazione, infatti possono essere modificate anche dalla cultura. I processi intersoggettivi danno sostanza ai cambiamenti intercorrenti la cultura e il clima perché, come rileva Mumby (1988), far parte di un’organizzazione non richiede soltanto il mantenimento di certi atteggiamenti e valori, ma anche contribuire alla creazione di questi atteggiamenti e valori. La prospettiva culturale abbandona quello che l’approccio strutturale diceva a proposito del clima, che era visto come legato alle proprietà formali , e anche quelle convinzioni che erano proprie dell’approccio percettivo e di quello interattivo, cioè il loro esame dei processi psicologici individuali. Vengono enfatizzate invece le disposizioni sociali ,ove i lineamenti culturali diventano molto importanti. Quel che interessa non è tanto inerente al significato culturale, ma il modo con cui guida la condotta sociale nelle sue manifestazioni visibili nel clima organizzativo. In altre parole, l’approccio culturale parte con la sua analisi esplorando le dinamiche attraverso le quali produce una coscienza condivisa, riguardante esplicitamente le condizioni nelle quali queste dinamiche ricorrono e come diventano organizzativamente significative. Sintetizzando, il clima organizzativo è creati da un’insieme di interazioni individuali che modellano una comune, astratta parte di attributi, come la cultura dell’organizzazione, da contingenze situazionali come, le esigenze imposte dalle condizioni organizzative. In questo approccio si sposta l’attenzione dalle percezioni individuali viste come principali fonti del clima, enfatizzando invece l’interazione tra i membri dell’organizzazione (punto di vista che è condiviso dall’approccio interattivo). L’approccio culturale poi sottolinea il ruolo critico che la cultura organizzativa gioca nel modellare i processi che producono il clima organizzativo. Resta da spiegare e chiarire, tuttavia, le relazioni tra clima organizzativo e cultura organizzativa. Ciò verrà discusso nella prossima sezione dell’articolo.
DIFFERENZE TRA CULTURA E CLIMA ORGANIZZATIVO
Capire il concetto di cultura
Alcuni osservatori contestano che cultura e clima vengano considerati come sinonimi nella teoria organizzativa (Schneider, 1985). Tuttavia essi non sono identici quindi sarebbe necessario chiarirne le differenze per comprendere entrambi i costrutti, al fine di procedere ad una adeguata esplorazione anche empirica. Senza tali premesse, il clima può rimanere chiuso nella vastità del concetto di cultura (come spesso si è verificato nella recente letteratura sul tema) e i due concetti patiranno questa mancanza di chiarezza. Due problemi sono i responsabili di questa confusione. Il primo, l’assenza di un’adeguata definizione dei concetti da parte dei ricercatori. Il secondo, non si riconosce che cultura organizzativa e clima sono concetti che sono stati affrontati da differenti discipline accademiche (che discuteremo più sotto). Così, mentre i costrutti sono sicuramente legati tra loro, è necessario identificare le piccole differenze che esistono tra di essi. “Parlando della cultura organizzativa, alcuni autori hanno concepito il temine cultura come concetto iperinclusivo, che sussumeva già diversi concetti e fenomeni” (Trice e Beyer, 1984, p. 653). Trice e Beyer (1984) ipotizzano che una delle possibili ragioni della mancanza di integrazione teorica rispetto alla cultura organizzativa possa essere dovuta alla iperinclusività del concetto di cultura, alla incapacità di identificare specifici ambiti nel quale porre alcuni fondamentali concetti. Trice e Beyer (1984) rilevano che la cultura è composta da due elementi fondamentali: (1) il contenuto, che consiste nella rete di significati contenuti nelle ideologie, norme, valori, credenze, che uniscono le persone e permettono loro di interpretare e comprendere il mondo là fuori; (2) la forma o le pratiche attraverso le quali vengono espressi i significati, o affermati e comunicati ai membri attraverso miti, riti e simboli. I due autori contestano che i ricercatori abbiano mai distinto i significati che caratterizzano una specifica cultura analizzandone le sue varie forme. Una definizione formale di cultura organizzativa che prenda in considerazione il contenuto come sopra inteso la troviamo in Schein: La cultura organizzativa è un insieme di assunti basilari che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato quando è riuscito a far fronte ai suoi problemi di adattamento esterno o di integrazione interna, e che si sono rivelati validi e, quindi, vengono acquisiti e trasmessi ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare, sentire quei problemi (1985, p. 3). Le definizioni di cultura apparse nella letteratura enfatizzano la consensualità delle aspettative, assunti e vedute che governano le interazioni sociali (Wuthnow e Witten, 1988). A tal proposito, si uniscono ” il concetto di conoscenza tacita di Polyani e il concetto supporto normativo dell’azione sociale di Parson “(Wuthnow e Witten, 1988, p. 50). Si capisce che queste definizioni di cultura non si riferiscono a tutti i modelli di comportamento. Il comportamento manifesto è determinato congiuntamente dalle predisposizioni culturali e dalle contingenze situazionali che sorgono dall’ambiente esterno. Così le variabilità comportamentali possono essere dovute sia a contingenze ambientali sia a contingenze culturali. Nel modello dei livelli culturali proposto da Schein (1985) si affronta la natura eminentemente “fuori dalla consapevolezza” della cultura, tanto da permetterci di vedere meglio le relazioni che intercorrono tra le varie culture. E’ un modello particolarmente utile per collegare, come nei nostri propositi, cultura con clima. La cultura è composta da vari elementi (lo spazio fisico, particolari regole comportamentali, valori fondamentali, etc.) che riflettono una certa filosofia o ideologia sociale, e che sottendono quelle categorie concettuali o assunti che mettono in grado le persone di interpretare e comunicare le cose di tutti i giorni. Il modello distingue questi elementi affrontando certi fondamentali assunti tipo “assenze di cultura” e affrontando i comportamenti e i valori che si osservano nelle manifestazioni in “assenza culturale”. Come mostra la Fig. 5, questi elementi costituiscono in un certo senso l’interazione tra livelli culturali. Fig. 5. Elementi che costituiscono i livelli interattivi della cultura (adattamento tratto da Schein, 1984, p. 4 ) Il Livello 1 del diagramma mostra quegli elementi che sono più visibili, ma che spesso sono indecifrabili senza la conoscenza approfondita della cultura del gruppo. Il livello 2 mostra i valori. Questi spesso sono articolati in modo esplicito e consci e svolgono una funzione normativa nel guidare il comportamento dei membri in certe situazioni chiave. Questi valori vengono rinforzati nel tempo, attraverso trasformazioni cognitive che li trasformano dallo stato di credenze a quello di assunti. Al livello 3 si trovano gli assunti sottesi ad una cultura, dove quello che un tempo erano mere ipotesi o valori diventano realtà fondamentali. Questa concezione del concetto di cultura chiarisce come essa possa essere considerata una proprietà indipendente e stabilmente definita di una unità sociale. Si verifica ciò quando si hanno delle interazioni stabili tra soggetti, quando essi acquisiscono visioni condivise e quando queste visioni condivise operano per un periodo sufficientemente lungo tale da far diventare quello che era fuori dalla consapevolezza dei soggetti, una consapevolezza .In sintesi, la cultura è la base delle relazioni sociali. La cultura è storicamente e socialmente costruita, incorpora profonde strutture di significati, credenze, assunti e aspettative da cui dipendono le interazioni. E’ un aspetto implicito della vita sociale che non è prontamente osservabile e interpretabile da una persona esterna al gruppo. Queste profonde strutture rappresentano un assunto, l’accordo sulla realtà di ogni membro del gruppo.
Unire cultura e clima
Una definizione di clima organizzativo è stata presentata nella parte iniziale dell’articolo. Bisognerebbe rivedere diversi aspetti di questa definizione al fine di chiarire e identificare i legami tra cultura organizzativa e clima organizzativo. E’ stato notato che il clima è una caratteristica relativamente durevole di un’organizzazione. Mentre la cultura è una caratteristica estremamente durevole di un’organizzazione. La cultura cresce lentamente; nel senso che esiste quando una certa unità sociale vive da lungo tempo ed ha una storia alle sue spalle, un passato riconoscibile. Il clima più superficialmente è composto dagli stessi elementi (nei termini di realtà organizzativa) della cultura, ma prende forma più velocemente e muta più rapidamente. Come vediamo nella Fig. 6, il clima agisce al livello degli atteggiamenti e dei valori, mentre la cultura agisce sia a questi livelli che a quelli che chiamiamo assunti fondamentali (preconscio, subconscio o inconscio). Il clima organizzativo incorpora quei comportamenti che agiscono al livello dei valori e dei prodotti sociali (creations) di una cultura (termini tratti da Trice e Beyer). Il clima organizzativo invece è una reazione che un gruppo di individui in interazione tra loro danno, informati e costretti da una comune cultura organizzativa, alle contingenze ambientali interne ed esterne di una organizzazione. Di conseguenza il clima si interseca con le varie forme della cultura (livello 1 e parte del 2) che fanno parte dell’esperienza qui ed ora dei soggetti. Per i soggetti, il clima organizzativo esiste a quel livello di consapevolezza ove si esprime una reazione immediata alla realtà organizzativa. Diciamo più chiaramente, sebbene il clima sia una proprietà collettiva, la sua misurazione attraverso dati percettivi denota che il costrutto mantiene elementi delle caratteristiche uniche dei soggetti che percepiscono la realtà, che contemporaneamente si riflette anche nell’analisi del costrutto. Con la cultura questo non accade, perché è un costrutto talmente intriso dalla unicità dell’inconscio collettivo che si mette al riparo dalle differenze individuali le quali potrebbero renderlo instabile (come il clima). Fig. 6. Sovrapposizione tra cultura e clima Il clima organizzativo è permeato dalle più stabili e profonde forme della cultura ma è anche il risultato della mediazione delle fluttuazioni a breve termine o variazioni dell’ambiente interno ed esterno. I cambiamenti di persone dello staff considerate basilari oppure dei tagli budgetari possono colpire piuttosto velocemente il clima di un organizzazione, ma è molto improbabile che abbiano un qualche impatto sulla cultura. Tuttavia, il legame che ha il clima con gli elementi culturali di un’organizzazione impedisce che lo stesso diventi un fenomeno assolutamente transitorio, trasformato da qualsiasi contingenza situazionale. In essenza, il clima organizzativo possiamo considerarlo come il modo attraverso il quale le profonde strutture della cultura si manifestano ( o operazionalizzano ) in reciproche contingenze situazionali, interazioni tra i membri di un gruppo e cultura stessa. Dobbiamo notare che anche la cultura, come altri fattori, è un elemento dinamico e pertanto può anch’essa cambiare, seppur lentamente, come risultato di questa reciprocità. L’approccio qui presentato ci mostra il clima organizzativo come composto da un insieme di concezioni (percezioni, valori e assunti) che esistono in successivi livelli di consapevolezza. La cultura qui non è intesa nel senso di costume o culto, ma come la struttura di significati attraverso la quale l’uomo diventa consapevole della propria esperienza. L’organizzazione non è intesa soltanto come composta da gerarchie e da obiettivi, ma principalmente come l’arena nella quale queste pubblicamente si aprono (vedi Geertz, 1973, p. 312). E’ proprio per questo che il clima è il punto cardine per descrivere un’organizzazione come sistema di significati e azioni simboliche attraverso cui esse diventano visibili. Poi il clima organizzativo ha delle proprietà concettuali che possiamo identificare anche nell’ampio concetto di cultura organizzativa. Tuttavia, il clima organizzativo è più superficiale rispetto alla cultura, pertanto non penetra gli aspetti della più profonda coscienza degli individui come penetra la realtà organizzativa. Il clima esiste laddove vi è maggiore consapevolezza e dove il comportamento è visibile. Come mostra la Fig. è, il clima organizzativo esiste al livello della forma culturale piuttosto che del contenuto. E’ costituito da un insieme di percezioni, atteggiamenti, comportamenti e da alcuni ampi valori. All’opposto, il contenuto essenziale della cultura è relativamente invisibile e preconscio. Infine, il clima organizzativo si può considerare come un elemento della cultura organizzativa che esiste nell’interfaccia tra contingenze situazionali e l’interazione tra membri dell’organizzazione. Influenze disciplinari sulla cultura e sul clima Come diremo subito, clima organizzativo e cultura organizzativa sorgono da due differenti ambiti disciplinari, uno dalla psicologia sociale, l’altro dall’antropologia (Allaire e Firsirotu, 1984; Ouichi e Wilkins, 1985; Smircich e Calais, 1987); si potrebbe anche dire che il concetto di cultura organizzativa è stato anche influenzato dalla Scuola Istituzionale della Sociologia (Fine, 1984; Perrow, 1979). Questi concetti soltanto recentemente sono stati introdotti nella teoria organizzativa da alcuni ricercatori che d’altra parte non hanno mai riconosciuto queste correnti culturali e i loro metodi e tecniche di ricerca. La psicologia sociale ha spesso focalizzato la sua attenzione sul concetto di clima organizzativo in particolare agli aspetti percettivi, processi percettivi, rinforzi, e processi cognitivi attraverso i quali l’individuo apprende e discrimina le caratteristiche dell’ambiente interno di un’organizzazione. In psicologia sociale si pone enfasi in particolare sugli individui, sulle questioni legate all’accuratezza percettiva, alle loro conseguenze sulle risposte cognitive e sulle reazioni affettive. La cultura, in origine del dominio della antropologia, analizza le strutture sottostanti i miti, simboli, drammatizzazioni sociali, rituali, che rendono manifeste valori, norme e significati condivisi in un gruppo di individui. Una prima analisi è diretta a ciò che si può considerare legante, in una terminologia analitica, delle varianze intergruppi. Gli antropologi esaminano le manifestazioni della cultura attraverso i suoi aspetti – miti, leggende, simboli, rituali – che rivelano ideologie e valori condivisi. Gli psicologi sociali, si interessano del modo in cui questi diventano condivisi. Dapprima si interessa dei problemi epistemologici sui fenomeni intrapsichici, poi di fenomeni intrapsichici stessi. Sia gli psicologi che antropologi riconoscono l’importanza di eventi e attività che si considerano come stimoli che inducono delle reazioni o risposte. Entrambi interpretano questi eventi negli aspetti che promuovono la consapevolezza umana. Però gli psicologi si interessano primariamente del significato sociale che si riflette sugli individui, mentre gli antropologi sono più interessati alle analogie collettive. Entrambi riconoscono l’importanza della condivisione dei significati, aspettative, e legittimazione come indispensabile al processo organizzativo. In questo senso clima organizzativo e cultura organizzativa possono essere osservate nelle loro sovrapposizioni. In questa sovrapposizione si costituiscono le basi teoriche dell’approccio culturale alla formazione del clima organizzativo, come è stato proposto in questo articolo.
CONCLUSIONI
Come abbiamo detto nell’introduzione di questo articolo, una ricerca recente di Hofstede et al. (1990) cerca di misurare quantitativamente la cultura organizzativa. Questo esplora la varietà culturale esaminando la coralità dei valori, rituali, eroi, simboli. Questi ultimi tre elementi comprendono aspetti che i ricercatori identificano nelle pratiche organizzative. Attraverso una analisi multivariata dei dati rilevati i ricercatori trovano sei dimensioni indipendenti di pratiche percettive che includono (1) orientamento ai processi vs. orientamento ai risultati, (2) orientamento agli impiegati vs. orientamento al compito, (3) professionalità vs. non professionalità, (4) sistema aperto vs. sistema chiuso, (5) controllo leggero vs. controllo pesante, e (6) pragmatico vs. normativo. Essi notarono che ciò che veniva chiamato pratiche poteva anche essere denominato “convenzioni”, “costumi”, “abitudini”, “tradizioni”. I ricercatori affermano che “le percezioni condivise delle pratiche quotidiane possono essere intesi come il nocciolo della cultura organizzativa” (p. 311). Quello che è importante in questo studio è l’impiego di elementi culturali come i rituali e i simboli da cui i ricercatori traggono quegli aspetti e pratiche che possono tipicamente essere associate alle dimensioni del clima organizzativo. Per di più queste pratiche permettono di trarre elementi per distinguere tra le varie culture organizzative. (un po’ come propone questo articolo). Si sottolinea il bisogno di una spiegazione teorica che colleghi clima e cultura di un’organizzazione. Inoltre propone una misura sottoponibile a validazione empirica del legame teorico tra questi costrutti. La nostra posizione e quella che dice che i due concetti, clima e cultura, sono costrutti distinti, ma tra loro legati o collegati . Sono legati in due aspetti. Primo, si sovrappongono nelle componenti delle dimensioni espressive, comunicative, sociali delle organizzazioni. Il clima esibisce quelle caratteristiche comportamentali e di atteggiamenti dei partecipanti che sono maggiormente accessibili agli osservatori esterni. Mentre dall’altro lato, la cultura rappresenta maggiormente quegli aspetti più impliciti di una organizzazione. Essa contiene quei fondamentali valori collettivi e significati dei membri di una organizzazione che si manifestano indirettamente attraverso metafore e sensazioni interiori delle mentalità condivise che non sono immediatamente interpretabili dall’esterno. Il secondo aspetto in cui cultura e clima sono collegati è attraverso l’influenza che i centrali valori storicamente costruiti e significati incorporati nella cultura organizzativa hanno nel determinare gli atteggiamenti e pratiche che sono compresi nel clima organizzativo. La cultura è la fonte di continuità e di azione in cui vengono esibiti quei comportamenti adattivi nel clima organizzativo da cui traggono forza.
ARTICOLO ORIGINALE
Thomas Moran E., Fredericks Volkwein J. (1992), The cultural approach to the formation of organizational climate. Human Relations, 45(1), pp. 19-47.
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