Clima Organizzativo
Clima organizzativo - tre strumenti per la misura del clima: QCE, WES, IMPC
In questa sezione presenteremo tre strumenti di misura del clima organizzativo, con il contributo dei quali, oltre ad altri questionari, successivamente è stato costruita la batteria modulare per un check-up aziendale a completo. Le proprietà metriche degli strumenti, adattati alla realtà italiana, sono state verificate nell’ambito di una ricerca da me condotta, che ha coinvolto diverse organizzazioni: aziende pubbliche e private, enti pubblici, ospedali, ecc. (n=452).
INTRODUZIONE
Gli studi sul clima sono stati oggetto di numerosissime rassegne negli ultimi venticinque anni (Campbell, Dunnette, Lawler e Weick, 1970; Field e Abelson, 1982; Glick, 1985; Hellriegel e Slocum, 1974; Hoy e Kottkamp; James e Jones, 1974; Litwin e Stringer, 1968; Payne e Pugh, 1976; Peterson, Cameron, Mets, Jones & Ettington, 1987; Schneider, 1975; Tagiuri e Litwin, 1968; Tierney, 1990; Woodman e King, 1978). Questi autori e molti altri hanno contribuito a dare fondamento teorico e concettuale al costrutto clima, cercando di approfondirne e chiarirne anche gli elementi che lo contraddistinguono da concetti affini. Quaglino e Mander (1987) privilegiano un excursus storico collocando le varie ricerche sul clima lungo un continuum temporale che evidenzia come, al pari di altri concetti, anche il concetto di clima abbia alternato periodi di marcato interesse a periodi di completa sfiducia e abbandono di un costrutto considerato dai più proteiforme, ambiguo, confuso, privo di interesse scientifico. I due autori individuano quattro periodi che sinteticamente possiamo così riassumere:
PERIODO 1: comprende il decennio 1964-1974. Fase della sperimentazione del concetto, soprattutto all’insegna del tentativo e della prova;
PERIODO 2: coincide con l’anno 1975. Fase della sintesi del grande lavoro prodotto nel decennio precedente;
PERIODO 3: coincide con gli anni dal 1976-1980. Fase della radicalizzazione delle diverse posizioni emerse negli anni precedenti tra sostenitori di un orientamento più propriamente organizzativo e uno più marcatamente psicologico;
PERIODO 4: siamo nella prima metà degli anni Ottanta. Abbiamo il progressivo “complessificarsi” delle questioni legate ad una difficoltà esperita nella elaborazione di modelli soddisfacenti, di una non semplicità del tema e della prix de conscience della necessità di un nuovo impegno, anche intellettuale, nell’affrontarlo.
Altri autori preferiscono affrontare il concetto individuando quali approcci hanno maggiormente caratterizzato le ricerche sul clima riconoscendo gli autori che vi hanno contribuito, gli elementi che caratterizzano un approccio e quelli che lo distinguono dagli altri. Moran e Volkwein (1992) identificano quattro tipi di approcci che hanno caratterizzato la ricerca sul clima:
APPROCCIO STRUTTURALE
APPROCCIO PERCETTIVO
APPROCCIO INTERATTIVO
APPROCCIO CULTURALE
IL CONCETTO DI CLIMA
Il clima di una organizzazione deve essere colto in quegli aspetti che perdurano nel tempo e che, indipendentemente da particolari fenomeni, rimane sostanzialmente costante. Lo sforzo di delineare sempre più precisamente il clima ha contribuito a chiarirne le differenze rispetto ad altri concetti, come ad esempio la soddisfazione lavorativa, ed ha stimolato l’interesse verso altri, ad esempio la cultura organizzativa. Il clima non é un concetto unidimensionale collocabile lungo un continuum, ma é composto da diversi fattori le cui configurazioni determinano varie tipologie climatiche all’interno di collettivi più o meno strutturati, più o meno ampi ecc. E’ interessante richiamare una breve sintesi delle molteplici definizioni che si sono succedute negli anni sul clima; Forehand e Gilmer (1964), trattando del comportamento organizzativo, affermano che per clima organizzativo intendono: un set di caratteristiche che descrivono una organizzazione e che
a) la distinguono da altre organizzazioni;
b) sono relativamente durature nel tempo e
c) influenzano il comportamento degli individui nell’organizzazione (Forehand e Gilmer 1964, 362).
Pochi anni più tardi Litwin e Stringer (1968) definiscono il clima organizzativo con maggiore chiarezza e complessità parlando di: un insieme aggregato di aspettative e incentivi ed anche un costrutto molare che:
a) consente l’analisi delle determinanti dei comportamenti motivati in complesse ed effettive situazioni sociali;
b) semplifica i problemi della misura dei determinanti situazionali legati alle percezioni e ai convincimenti individuali;
c) consente la specifica definizione della situazione globale di influenza sia dell’ambito esterno sia dei vari tipi di ambienti interni all’organizzazione (Litwin e Stringer, 1968).
Nel 1968 Tagiuri, curando una rassegna di lavori con Litwin, nella sua definizione individua nel clima organizzativo: una qualità relativamente duratura dell’ambiente interno di un’organizzazione che
a) é esperenziata dai suoi membri;
b) influenza il loro comportamento;
c) può essere descritta in termini di valori di una particolare serie di caratteristiche (o attributi) dell’organizzazione (Tagiuri 1968a, 27).
Infine abbiamo autori come Sells e Evans (1968) che interpretano il clima in relazione ai connotati culturali di una organizzazione e che identificano il clima come la percezione della cultura o dei tratti culturali di un’organizzazione: il clima organizzativo appare come una funzione dei modelli culturali delle organizzazioni ed include quegli orientamenti generalizzati dei membri che sono:
a) condivisi dalla maggioranza dei membri di un’unità organizzativa e
b) acquisiti in relazione a specifici fattori della situazione organizzativa (Sells, 1968, 87).
Il clima organizzativo é una percezione multidimensionale del carattere o degli attributi essenziali di un sistema organizzativo (Evans, 1968, 110). Evans non limita la percezione dell’ oggetto clima ai soli membri dell’organizzazione, infatti anche i soggetti esterni possono esperire percezioni climatiche; inoltre essa non incorpora gli effetti del clima sul comportamento, che per l’autore costituiscono una variabile dipendente. E’ interessante mostrare il processo generativo del clima all’interno di un’organizzazione secondo Evans: Fonte: Evans (1968).
Il nostro principale interesse sarà adesso quello di evidenziare come i diversi approcci al clima hanno affrontato il modo con cui esso si forma.
GLI APPROCCI TEORICI
L’approccio strutturale
Questo approccio considera il clima come caratteristica o attributo appartenente all’organizzazione, attributo che esiste indipendentemente dalle percezioni individuali dei membri, come posseduto dall’organizzazione stessa. L’approccio strutturale si interessa dei rapporti tra misure percettive e obiettive del clima organizzativo. Guion (1973) propose un cambiamento nella ricerca empirica inerente questo problema dicendo che se il clima organizzativo è considerato un attributo dell’organizzazione, ma desunto da misure percettive, allora l’accuratezza delle percezioni dovrebbero essere convalidate attraverso misure oggettive, esteriori.
Payne e Pugh (1976) presentano una analisi specifica e dettagliata della prospettiva strutturale. Secondo il loro punto di vista le condizioni reali della struttura organizzativa influenzano gli atteggiamenti, i valori, le percezioni degli eventi organizzativi da parte dei membri della stessa. Il clima si forma dagli aspetti oggettivi della struttura organizzativa che sono:
1. dimensioni;
2. grado di centralizzazione delle decisioni;
3. numero dei livelli gerarchici;
4. tipo di tecnologia impiegata;
5. ruoli formali;
6. politiche del personale.
La Figura 1 ci dà una rappresentazione visiva di questo approccio. La struttura organizzativa produce un clima con proprietà indipendenti da quelle percepite dai membri dell’organizzazione stessa. Fig. 1. Rapporto tra clima struttura organizzativa e percezioni individuali
Il clima è dunque una manifestazione oggettiva della struttura organizzativa che gli individui incontrano ed acquisiscono.
L’approccio percettivo
Mentre la prospettiva strutturalista pone la formazione del clima nelle proprietà strutturali delle organizzazioni, l’approccio percettivo la pone nell’individuo. L’approccio percettivo sostiene che gli individui reagiscono ed interpretano le variabili situazionali non solo sulla base delle caratteristiche oggettive della specifica situazione o degli attributi strutturali, ma anche su quegli aspetti che sono psicologicamente significativi per loro (James, Hater, Gent, Bruni, 1978). Il clima è il prodotto di elaborazioni percettivo-cognitive che danno come risultato delle rappresentazioni cognitive che riflettono l’interpretazione del contesto su quegli aspetti psicologicamente significativi per gli individui (James e Jones, 1974; James et al., 1978).
Come descritto nella Figura 2, secondo questo approccio il soggetto percepisce il contesto organizzativo e crea una astrazione o rappresentazione psicologica del clima attraverso dei processi di cui fanno parte:
1) le comunicazioni,
2) la leadership;
3) le modalità del processo decisionale operanti nell’organizzazione.
Inoltre i ricercatori appartenenti alla prospettiva psicologica sottolineano che il clima è mediato da variabili legate alla personalità, alla struttura dei compiti, allo stile di supervisione (Field e Abelson, 1982).
L’approccio interattivo
Questo approccio, chiamato approccio interattivo, non si distingue molto dai due precedenti. Diversamente dall’approccio strutturale, questo non assume che l’origine del clima si debba trovare nelle caratteristiche dell’organizzazione, né asserisce che sia forgiato in primo luogo dagli individui. La tesi fondamentale di quest’approccio è la seguente: l’interazione tra individui in risposta al contesto evidenzia il consenso delle parti, rappresentando così la fonte del clima organizzativo. Alcuni ricercatori hanno definito il clima come la combinazione tra caratteristiche delle personalità ed elementi strutturali dell’organizzazione (Gavin, 1975; George e Bishop, 1971). Ricerche empiriche più recenti hanno mostrato che la comunicazione è una componente centrale che contribuisce alla formazione del clima (O’Driscoll e Evans, 1988; Welsch e La Van, 1981).
La Figura 3 ci fa vedere le relazioni tra contesto organizzativo, percezione del soggetto, interazione tra i membri del gruppo e clima. Il clima diventa una sintesi rappresentativa creata dall’interazione tra membri di un gruppo.
L’approccio culturale
Gli approcci strutturale, percettivo e interattivo sono ciascuno l’estensione concettuale del precedente. Questi approcci non prendono in considerazione i modi con cui percezioni e interazioni vengono influenzate dalla cultura dell’organizzazione lavorativa. Ashforth parlando del collegamento tra cultura e clima ha notato che: ” non ci sono grandi diversità tra i concetti di cultura e clima ” (1985, p. 841). Però né lui né McPhee (1985), che allude anch’esso al rapporto tra cultura e clima, approfondiscono o definiscono questa relazione. In opposizione all’approccio strutturale, in particolare alla sua considerazione delle proprietà formali delle organizzazioni, oppure all’approccio percettivo che focalizza la sua attenzione sulle caratteristiche psicologiche dei membri, e all’approccio interattivo che esamina il modo attraverso il quale la coscienza degli individui fonde questi elementi, l’approccio culturale focalizza la sua attenzione su come i gruppi interpretano, costruiscono, negoziano la realtà, attraverso la creazione di una cultura organizzativa.
La cultura organizzativa contiene elementi fondamentali come i valori, gli accordi negoziali, i significati storicamente costruiti che orientano le azioni verso il consenso e i progetti comuni e che rendono possibili gli sforzi organizzativi e, dunque, l’esistenza dell’organizzazione stessa. La cultura deve essere intesa come prodotto della mente, dei miti, delle ideologie, delle norme e dei valori che rappresentano un sistema di significati simbolici condivisi dai membri del gruppo. Dunque, la cultura esiste non nei processi cognitivi delle persone, ma nelle interazioni tra individui. La cultura costituisce il contesto su cui interpretare un sistema ordinato di significati entro il quale le interazioni sociali si determinano. La sua essenza è quella di ” edificare significati in funzione dei quali gli individui interpretano le loro esperienze e guidano le loro azioni ” (Geertz, 1992, p. 145).
La Figura 4 ci dà una rappresentazione visiva del modello che abbiamo chiamato approccio culturale al clima. Nel modello sono incluse le condizioni o caratteristiche organizzative che contengono elementi del (1) contesto come tipi di controllo, orientamenti generali, ecc; (2) struttura come ampiezza, complessità e formalizzazione; (3) processi come comunicazione, schemi di influenza, processi decisionali, e (4) impatto ambientale, come impatto delle turbolenze ambientali sul cambiamento dell’organizzazione; le condizioni o caratteristiche dell’organizzazione sono rappresentate per come vengono viste dagli individui che entrano in contatto con essa.
La percezione delle caratteristiche organizzative è moderata dalla personalità e dalla struttura cognitiva di colui che le percepisce, però, le percezioni individuali sono contemporaneamente trasformate dai rapporti intersoggettivi tra individui nell’organizzazione. L’intersoggettività influenza anche la creazione del clima. Il modello fa vedere come il clima sia influenzato dalla cultura organizzativa, la quale ricorre anche come moderatrice delle percezioni individuali. Il clima modella le interazioni nell’organizzazione, interazioni che non subiscono soltanto l’intervento del clima, ma anche della cultura. In questo approccio si sposta l’ attenzione dalle percezioni individuali viste come principali fonti del clima, all’interazione tra membri della organizzazione (punto di vista che è condiviso dall’ approccio interattivo). Lo approccio culturale poi sottolinea il ruolo critico che la cultura organizzativa gioca nel modellare i processi che producono il clima. Restano da spiegare e chiarire, tuttavia, le relazioni tra clima e cultura organizzativa.
Relazioni tra cultura e clima
Una definizione di clima è stata presentata nella parte iniziale del capitolo. Bisognerebbe rivedere diversi aspetti di questa definizione al fine di chiarire e identificare i legami tra cultura organizzativa e clima. E’ stato notato che il clima è una caratteristica relativamente durevole di un’organizzazione. La cultura è invece una caratteristica estremamente durevole di un’organizzazione. La cultura cresce lentamente, nel senso che esiste quando una certa unità sociale vive da lungo tempo ed ha una storia alle spalle, un passato riconoscibile. Il clima, più superficialmente, è composto dagli stessi elementi (nei termini di realtà organizzativa) della cultura, ma prende forma più velocemente e muta più rapidamente.
Come vediamo nella Fig. 6, il clima agisce sul livello degli atteggiamenti e dei valori, mentre la cultura agisce sia su questi livelli che su quelli che chiamiamo assunti fondamentali ( Ideologie, filosofie ). Il clima aziendale è permeato dalle più stabili e profonde forme della cultura, ma è anche il risultato delle fluttuazioni a breve termine o variazioni nell’ambiente interno ed esterno all’ organizzazione. Cambiamenti di persone dello staff, tagli di budget, licenziamenti, nuove politiche del personale, possono colpire piuttosto velocemente il clima di una azienda, ma è molto improbabile che abbiano un qualche impatto sulla cultura. Tuttavia, i legami del clima con gli elementi culturali di un’ organizzazione impediscono che lo stesso diventi un fenomeno assolutamente transitorio, modificato da qualsiasi contingenza situazionale. Dobbiamo notare che anche la cultura è un elemento dinamico, pertanto può anch’ essa cambiare, seppur lentamente. La cultura qui non è intesa nel senso di costume o culto, ma come la struttura di significati attraverso la quale l’uomo diventa consapevole della propria esperienza.
CONSEGUENZE APPLICATIVE DELLA NOZIONE DI CLIMA
Fin ora ci siamo soffermati sugli aspetti teorici legati al concetto di clima, adesso vogliamo affrontare brevemente quali siano i possibili aspetti applicativi della nozione. Il clima é un importante aspetto della realtà organizzativa perché ha rilevanti effetti sulla capacità dell’organizzazione di impiegare e sfruttare al meglio le risorse tecniche ed umane. Friedlander e Margulis (1969) affermano: La capacità tecnica é un aspetto essenziale per il successo di una organizzazione, ma la realizzazione e indirizzamento della capacità verso attività produttive dipende dal clima (p.173). Il clima è anche uno strumento di consapevolezza e di diagnosi organizzativa (De Vito Piscicelli, 1984), strumento di riprogettazione partecipata al cambiamento. E’ importante anche nell’analisi delle dinamiche che presiedono alla socializzazione al lavoro del neoassunto (Pozzi, 1992); può essere predittore della soddisfazione lavorativa, del successo aziendale e spesso contribuisce alla riflessione sugli elementi legati alle motivazioni al lavoro (Cascioli e Cascioli, 1991).
Clima e soddisfazione lavorativa
Molta letteratura di psicologia organizzativa sottolinea l’importanza del clima in azienda, sul luogo di lavoro e il suo impatto sulla soddisfazione che gli impiegati traggono dal lavoro e la conseguente realizzazione lavorativa ( Lawler, Hall e Oldham, 1974; Pritchard e Karasick, 1973; ). Una ricerca condotta da Chadha (1988) utilizzando il questionario di Halpin e Croft (1963) voleva verificare il tipo di relazioni esistenti tra clima e soddisfazione lavorativa; si somministrarono i questionari a 150 direttori di un’azienda automobilistica con 5000 dipendenti. Ciascuno di essi aveva il controllo da 3 a 20 persone, età tra 38 e 51 anni ed elevato livello di istruzione. La soddisfazione sul lavoro si misurò attraverso 16 item appartenenti a 3 scale che riguardavano: la misura delle relazioni interpersonali (7 item), della realizzazione professionale (5 item) e della possibilità di carriera (4 item).
I risultati: alcune dimensioni relative al clima si rilevarono ampiamente predittive della soddisfazione professionale ( in particolare le subscale Distacco, Stimolazione da parte della supervisione, Essere presi in considerazione), mentre altre soltanto moderatamente o per niente. Repetti e Cosmas (1991), dopo una ricerca condotta su impiegati di concetto appartenenti a due istituti bancari (N= 440) degli Stati Uniti, concludono che esiste una relazione moderata tra quello che chiamano “qualità dell’ambiente sociale sul lavoro o clima” e soddisfazione sul lavoro; in particolare miglior predittore della soddisfazione lavorativa sarebbero i risultati legati alla percezione globale dell’ambiente sociale di lavoro, cioè quelli che compongono le percezioni climatiche complessive anziché le percezioni individuali dell’ambiente di lavoro che hanno una correlazione scarsamente significativa.
Clima e socializzazione al lavoro
E’ importante verificare che ruolo ha il clima nei processi di socializzazione organizzativa. La socializzazione al lavoro possiamo considerarla da due punti di vista: ciò che il contesto mette in atto nei confronti del nuovo arrivato e ciò che il soggetto mette in atto nei confronti della nuova situazione (Pozzi, 1992). I soggetti all’interno delle organizzazioni sono continuamente coinvolti nel tentativo di capire e dare un senso a ciò che accade intorno a loro, attraverso quello che Berger e Luckman (1967) chiamano “costruzione sociale della realtà” con cui intendiamo dire che la realtà non viene subita e registrata passivamente, non viene scoperto ciò che sta là fuori, ma viene costruita nell’interazione sociale. Dunque i comportamenti non sono funzione tanto delle caratteristiche oggettive ambientali, quanto dell’interpretazione che gli individui danno di esso; i comportamenti sono influenzati dalle interazioni sociali nell’ambiente sociale (Arcuri, 1985). Per questo alcuni autori che si occupano dei processi di socializzazione al lavoro sono interessati allo studio del clima, o meglio alle relazioni tra clima e processo di socializzazione. Depolo (1988) afferma che l’elaborazione di una situazione é funzione dell’individuo, dei colleghi, del clima e della cultura che caratterizzano l’organizzazione in cui si viene a trovare il soggetto. Schneider (1987) parla di ciclo ASA, ciclo che caratterizza una organizzazione, distinto in tre fasi: attrazione, selezione, attrito. Secondo questo processo Schneider é convinto che si spieghi il fenomeno secondo cui in organizzazioni simili si vengono a trovare persone con caratteristiche di personalità simili. Se il ciclo ASA é responsabile di tutto ciò e se il ciclo stesso é influenzato dal clima esistente in una organizzazione e dalla cultura in essa vigente, allora possiamo prevedere non soltanto i percorsi dei processi di socializzazione che un individuo deve seguire per intervenire in una situazione organizzativa, ma anche se quel soggetto avrà possibilità di adattarsi ad un ambiente caratterizzato da un certo clima. Dunque tenendo conto delle caratteristiche del soggetto e delle caratteristiche della organizzazione é possibile attivare efficaci processi selettivi, formativi, ma anche di ristrutturazione e riprogettazione della organizzazione secondo le caratteristiche dei soggetti che debbono essere inseriti nella rete di rapporti intraorganizzativi, dove ” la ragione di scambio fra azienda e lavoratore é la garanzia di una condizione di lavoro motivante contro un sentimento di integrazione e appartenenza ” (Schneider, 1990).
Clima e successo aziendale
I vari livelli di prestazione lavorativa da parte dei soggetti appartenenti a diverse organizzazione da che cosa sono determinati? Dunnette (1973), criticando al formula di Vroom (1960) “prestazione = abilità X motivazione”, conclude un suo articolo scrivendo: Uno degli scopi di un datore di lavoro dovrebbe essere, molto semplicemente, quello di fare tutto il possibile per assicurare (“permettere”) ad ogni dipendente la piena espressione delle proprie abilità, capacità, attitudini (Dunnette, 1973 p. 25). Noi invece diciamo con Schneider che: la prestazione é uguale alla abilità più un clima che favorisca il manifestarsi delle differenze individuali (Schneider, 1978) Seguendo un precedente lavoro sul clima in un’azienda di credito (Schneider, 1978), Schneider raggruppò delle agenzie di assicurazione sulla base delle percezioni dei dipendenti. In una porzione del campione si ebbero i risultati più interessanti dove: a) maggiore era il supporto dei superiori, maggiore interesse per i nuovi dipendenti, per l’autonomia degli agenti e il morale dell’agenzia;
b) c’erano minori conflitti interni;
c) c’era una struttura di supervisione media.
Ghiselli (1966) conferma l’ipotesi della relazione tra prestazione e clima che favorisce il manifestarsi delle differenze individuali, in cui si trovano anche alti livelli di sostegno individuale, e bassi livelli di conflitto (questo nelle organizzazioni industriali). Nessuno di questi studi, tuttavia, può confermare l’ipotesi che la prestazione sia più prevedibile in condizioni che favoriscono il manifestarsi delle differenze individuali, cioè in quelle situazioni in cui si fornisca una combinazione di sostegno, autonomia, giusta ricompensa degli sforzi, orientamento generale ed innovativo, e un orientamento di valore che tenga conto della personalità, portino le persone a percepire che la strategia di adattamento adeguata è l’essere se stessi (Schneider, 1978).
Nel 1987 un ulteriore contributo di Schneider chiarisce il legame tra clima e prestazione o per essere più precisi tra clima e successo; Schneider parla di “doppia pressione” nelle aziende di servizio, pressioni provenienti dalla clientela e dal management, pressione interna ed esterna; é evidente che una situazione di questo tipo può generare condizioni di stress di cui in definitiva il maggior responsabile é il management. Lo stress degli impiegati deve pertanto essere gestito dalla direzione, puntando alla creazione di un clima di fiducia e di sostegno tenendo conto delle aspettative degli impiegati. Gli impiegati infatti possiedono precise idee ed opinioni su come la propria organizzazione dovrebbe funzionare. Lo scarto tra immagine dell’organizzazione, aspettative e comportamenti reali, implementa condizioni di tensione e stress nei dipendenti, condizioni che producono conseguentemente insoddisfazioni e frustrazioni.
LA RICERCA
Gli obiettivi
Gli obiettivi che hanno guidato la nostra ricerca sono i seguenti:
a) taratura e verifica delle proprietà metriche di tre questionari sul clima aziendale;
b) verifica dell’influenza di alcune variabili indipendenti sulle percezioni climatiche.
Le variabili indipendenti che abbiamo considerato sono:
1) Anzianità di servizio: – inferiore ad un anno; – da uno a cinque anni; – da sei a dieci anni; – oltre dieci anni.
2) Ambito di lavoro: – Commercio; – Industria; – Ente Pubblico; – Terziario.
3) Ruolo: Dirigente; Quadro; Operaio; Impiegato.
4) Titolo di studio: – Laurea; – Diploma; – Licenza media; – Licenza elementare.
5) Età: – Meno di 25 anni; – da 25 a 34 anni; – da 35 a 44 anni; – 45 o più di 45 anni.
6) Sesso.
Dagli obiettivi e dalla letteratura abbiamo derivato una serie di ipotesi specifiche:
a. La percezione del clima aziendale nei diversi sottogruppi di anzianità di servizio sarà sostanzialmente più positiva nei soggetti che hanno accumulato una minore anzianità aziendale;
b. I soggetti operanti negli enti pubblici potrebbero rivelare una percezione più negativa del clima aziendale rispetto alle altre categorie;
c. I soggetti con livello culturale più alto mostreranno punteggi più elevati, cioè più positivi, rispetto ai soggetti di livello culturale inferiore;
d. Il ruolo professionale incide nella percezione del clima: gli operai riporteranno punteggi inferiori rispetto alle altre categorie professionali, così come gli impiegati riporteranno risultati inferiori rispetto a quadri e dirigenti.
METODO E STRUMENTI DI MISURA
Il Campione
Il campione complessivo si compone di 452 soggetti tutti facenti parte di aziende dell’area fiorentina. Abbiamo scelto aziende che avessero le seguenti caratteristiche: 1. Numero di dipendenti superiore a 100 unità; 2. Attive da più di 10 anni; 3. Disponibilità della direzione e dei sindacati ad una preventiva sensibilizzazione alla ricerca. Poiché il campione non può considerarsi rappresentativo della popolazione o universo statistico, non siamo legittimati a compiere delle inferenze, cioè a proporre conclusioni generali estendibili ad una più ampia popolazione di lavoratori. (…) come possiamo notare abbiamo una bassa numerosità per la fascia d’età inferiore ai 25 anni poiché le aziende che abbiamo coinvolto nella ricerca da molto tempo non prevedono nuove assunzioni.
Gli strumenti
Abbiamo utilizzato tre questionari che si proponevano di misurare il clima aziendale:
1. Il QCE.
2. Il WES
3. IMPC.
I questionari sono stati tradotti rimanendo al massimo fedeli al testo proposto, ma al contempo cercando di adeguarlo alla cultura e al contesto italiano.
1) Il primo questionario si compone di 128 item e si propone di misurare 14 fattori indipendenti riportati sotto dettagliatamente:
1. COERENZA DELLA STRATEGIA E DEL FUNZIONAMENTO: questa scala misura le percezioni relative alla coerenza e alla efficacia del funzionamento dell’ impresa e la strategia di sviluppo implementata dalla Direzione: dinamismo, definizione degli obbiettivi, processo decisionale, prospettive a lungo termine, adattabilità, ecc.
2. POLITICA DI APERTURA SOCIALE: questa scala misura le percezioni relative al tipo di atteggiamento adottato dalla Direzione nel far fronte ai bisogni e ai cambiamenti sociali: considerazione degli aspetti sociali e umani nella gestione del personale, adattamento ai progressi sociali nelle scelte di politica generale.
3. SUPPORTO MATERIALE E MORALE: questa scala misura le percezioni relative all’ ambiente fisico e umano: se l’ ambiente viene vissuto come facilitante buoni condizioni di vita e se susciti sentimenti di sicurezza e benessere.
4. CHIAREZZA DEL COMPITO E DEL RUOLO: questa scala misura le percezioni relative alle norme e specificazioni che regolano l’ organizzazione del lavoro: in che misura esse appaiono chiare, ben definite ed efficaci, se comprendono tutto quello che deve essere fatto e quello che ci si attende dal personale.
5. DISPONIBILITÀ’ E FLUIDITÀ’ DELLE INFORMAZIONI: questa scala misura le percezioni relative alla fluidità delle informazioni, alla diffusione delle informazioni; quali siano ascendenti o discendenti, se siano accessibili a tutti con facilità e liberamente, se siano bloccate durante il passaggio da un livello ad un altro; se la comunicazione si verifichi senza difficoltà a tutti i livelli.
6. NON DIRETTIVITA’ DELLA SUPERVISIONE: questa scala misura le percezioni relative allo stile di comando esercitato dai diretti superiori: se questo è percepito come partecipativo-consultivo, basato sul reciproco scambio di informazioni e spiegazioni, in modo poco direttivo. Se i controlli e sorveglianza sui compiti e sulle persone sono effettuati in maniera flessibile e aperta.
7. INCORAGGIAMENTO ALLE IDEE INNOVATIVE: questa scala misura le percezioni relative agli atteggiamenti della Direzione nei confronti delle iniziative personali. Se la Direzione favorisca gli individui a prendere dei rischi calcolati per migliorare le prestazioni, pianificare i propri compiti, proporre punti di vista e nuove idee sull’ organizzazione del lavoro.
8. SPIRITO DI SQUADRA O DI GRUPPO: questa scala misura le percezioni relative all’ consistenza di uno spirito di squadra: se gli individui hanno la tendenza a cooperare tra loro, se la Direzione incoraggi questo tipo di relazione.
9. QUALITÀ’ DELLE RELAZIONI PERSONALI: questa scala misura le percezioni relative alle relazioni di lavoro tra colleghi: se queste relazioni sono vissute positivamente, se si fondano sull’ aiuto reciproco e sulla benevolenza. Se esista un buon ambiente sociale, fondato sul cameratismo, sia all’ interno del reparto, sia tra reparti diversi.
10. SENTIMENTO DI UGUAGLIANZA: questa scala misura le percezioni relative all’ esistenza di una vera imparzialità e giustizia dei sistemi di valutazione, ( remunerazione, promozione, vantaggi ), fondati su criteri obbiettivi, senza favoritismi.
11. RESPONSABILITA’ – AUTONOMIA: questa scala misura le percezioni relative alla possibilità di assunzione di responsabilità sul lavoro: sentirsi autonomi, poter organizzazione il proprio lavoro, convinzione di svolgere un lavoro utile e di essere responsabile delle proprie scelte (decisioni).
12. COINVOLGIMENTO: questa scala misura le percezioni relative al coinvolgimento personale sul proprio lavoro e sull’ andamento dell’ impresa: sentirsi coinvolti nei risultati dell’ impresa, sensazioni di ricoprire un ruolo effettivo e avere un lavoro intrinsecamente motivante e interessante. 13.LIBERTA’ DI ESPRESSIONE: questa scala misura le percezioni relative alla possibilità di esprimere liberamente i propri sentimenti, emozioni e opinioni – sia positive che negative, sia con i responsabili che pubblicamente – nei confronti dell’ impresa, ed è indicativa di un rapporto personale con la Direzione e i diretti responsabili.
14.ESSERE PRESI IN CONSIDERAZIONE: questa scala misura le percezioni relative ad aspetti riguardanti la presa in considerazione delle domande, dei bisogni espressi dagli individui, riguardanti il proprio lavoro, la propria vita professionale, la propria carriera, e anche il funzionamento dell’ impresa. Questo suppone che da parte della Direzione e dei superiori vi sia una obiettiva ricezione delle istanze avanzate dal personale, riconoscendo così l’ individuo sia come persona adulta che come persona responsabile.
2) La scala WES si compone di 90 item con 10 subscale:
1. COINVOLGIMENTO: quanto i dipendenti si sentono coinvolti ed impegnati nel loro lavoro.
2. COESIONE TRA COLLEGHI: quanto i dipendenti sono reciprocamente solidali, amichevoli.
3. SUPPORTO DEI SUPERIORI: quanto i superiori incoraggiano e sostengono i dipendenti.
4. AUTONOMIA: quanto i dipendenti sono incoraggiati a prendere decisioni autonome e ad essere autosufficienti.
5. ORIENTAMENTO AL COMPITO: il grado di importanza dato alla buona pianificazione, all’ efficienza ed al lavoro svolto.
6. PRESSIONE SUL LAVORO: il grado di pressione sul lavoro e di urgenza che domina nell’ ambiente di lavoro.
7. CHIAREZZA: quanto gli impiegati conoscono effettivamente i loro compiti quotidiani e quanto le regole e le rompe sono chiaramente comunicate ed esplicitate.
8. CONTROLLO: quanto i superiori utilizzano regole e sistemi di pressione per controllare i dipendenti. 9. INNOVAZIONE: il grado di importanza attribuito alla varietà, al cambiamento ed ai nuovi approcci di lavoro.
10. COMFORT FISICO: quanto la comodità e la bellezza dell’ ambiente fisico contribuisce a rendere più gradevole il lavoro.
3) La scala IMPC ha invece 40 item con 8 subscale o fattori:
1. AUTONOMIA: La percezione dell’ autodeterminazione rispetto alle procedure di lavoro, mete, priorità.
2. COESIONE: La percezione della solidarietà o divisione nella struttura organizzativa, inclusa la inclinazione dei membri dell’organizzazione nel provvedere a fornire aiuto ai colleghi..
3. FIDUCIA: La percezione di poter comunicare liberamente e apertamente con i membri appartenenti a livelli organizzativi più elevati di problemi emotivi o di contenuti personali aspettandosi che tali comunicazioni prettamente personali non saranno violate.
4. PRESSIONE: La percezione delle scadenze temporali rispetto al completamento del compito e ai livelli di rendimento.
5. SOSTEGNO: La percezione della tolleranza da parte dei superiori del comportamento dei membri dell’ organizzazione, inclusa la volontà dei membri di apprendere dai propri errori senza paura di ritorsioni.
6. RICONOSCIMENTO: La percezione che quando i membri apportano dei contributi al miglioramento dei processi di lavoro vengono ricompensati.
7. EQUITÀ: La percezione che le pratiche organizzative sono egualitarie, non arbitrarie.
8. INNOVAZIONE: La percezione che creatività e cambiamenti sono incoraggiati, incluse le assunzioni di rischi in nuovi campi o in campi nei quali i membri hanno poca o nessuna esperienza.
Ad ogni affermazione dei diversi questionari si risponde utilizzando una scala di tipo Likert (1932) a 4 punti; il soggetto ha la facoltà di rispondere scegliendo tra 4 possibili alternative:
1=falso,
2=piuttosto falso,
3=piuttosto vero,
4=vero.
Nel caso di item formulati in forma negativa lo scoring è stato invertito, di modo che punteggi elevati indicano una valutazione positiva del clima. I questionari si possono considerare autosomministrati, il soggetto infatti legge direttamente le istruzioni riportate sul frontespizio procedendo autonomamente. Non si prevedono limiti di tempo per completare i questionari. Ciascun soggetto ha risposto a due questionari di modo che ottenessimo un disegno sperimentale del tipo AB-AC-BC. Si chiedeva esplicitamente che nessun item fosse omesso, che si rispondesse a tutte le affermazioni anche se sembravano simili. Abbiamo chiesto alla direzione e alle rappresentanze sindacali delle aziende di permetterci di illustrare le finalità della ricerca prima della somministrazione, raccogliendo eventualmente anche delle osservazioni e domande da parte dei dipendenti. I questionari venivano ritirati dopo circa due ore dalla consegna, infatti nella maggior parte dei casi sono stati compilati sul posto di lavoro.
L’ANALISI DEI DATI
Verifica e controllo delle caratteristiche tecniche dei questionari
L’affidabilità, la consistenza e la coerenza interne dei questionari sono state valutate attraverso il calcolo del coefficiente alfa di Cronbach (1979). La stabilità nel tempo è stata controllata attraverso il metodo test-retest, somministrando, dopo un mese, ad un limitato gruppo di soggetti ( N = 38 ), i questionari QCE e WES. I risultati ottenuti con il metodo test-retest sono presentati nelle tabelle 1 e 2 e confrontati con quelli originali (ad esclusione del QCE in quanto non disponibili dati di confronto). Per la scala QCE la fedeltà test-retest da noi rilevata è stata di r = 0.65, con una gamma di valori che va da un minimo di 0.38 per il fattore 9 ” disponibilità e fluidità delle informazioni ” ad un massimo di 0.85 per il fattore 7 ” chiarezza del compito e del ruolo ”; La fedeltà test-retest della scala WES è stata di r = 0.73 simile a quella della versione originale, r = 0.76, con valori che vanno da minimo di 0.56 nel fattore 7 ” chiarezza ” ad un massimo di 0.81 del fattore 10 ” comfort fisico ”. Abbiamo calcolato anche il coefficiente alfa di Cronbach per ognuna delle subscale dei tre questionari e i risultati sono riportati dettagliatamente nelle tabelle 3, 4 e 5. Come possiamo notare, l’omogeneità interna dei nostri questionari risulta molto elevata, anche rispetto a quella prevista dai manuali. Soltanto la subscala 8 ” innovazione ” del questionario WES ottiene un coefficiente inferiore a 0.90. I valori medi di consistenza interna da noi ottenuti sono: a) QCE: Alpha = 0.91; b) WES: Alpha = 0.92; c) IMPC: Alpha = 0.94. 6.2. La validità dei questionari L’altra importante proprietà di uno strumento di misura è costituita dalla sua validità, che consiste nel controllare se il questionario misura davvero e con quale precisione ciò che si propone di misurare. La nostra ricerca ha permesso di controllare sia la validità di costrutto attraverso l’analisi fattoriale, sia la validità convergente attraverso la correlazione di quegli item che si addensavano in fattori o subscale simili. L’analisi fattoriale è un procedimento statistico il cui obiettivo è quello di semplificare la descrizione del comportamento mediante la riduzione della molteplicità di variabili a pochi fattori o tratti comuni (Pedrabissi e Tiberi, 1988).
L’analisi fattoriale dei nostri dati ha rilevato rispettivamente per QCE 9 fattori indipendenti che complessivamente spiegano il 46,2% di varianza, per WES 10 fattori (40,9% di varianza), per IMPC 5 fattori (56,4% di varianza). Per la scelta del numero dei fattori si è usato il criterio dell’autovalore > di 1 (Kaiser, 1960) con saturazioni non inferiori a 0.35 (v. Tabelle 6, 7, 8). Tab. 6: Matrice di saturazione fattoriale degli item della scala QCE (rotazione varimax)(*).
Possiamo affermare che soltanto per la scala WES abbiamo trovato una globale corrispondenza tra scala a priori (cioè quella riportata dai manuali) e scala empirica, mentre per gli altri due questionari ciò non si è verificato; infatti per QCE si prevedevano 14 fattori indipendenti, mentre per IMPC se ne prevedevano 8.
Nella tabella 9 riportiamo i fattori previsti dai manuali e i fattori da noi trovati dopo analisi fattoriale (rotazione varimax). I risultati più interessanti sono sicuramente quelli ottenuti con la scala WES; infatti dai nostri dati si evince una struttura fattoriale sostanzialmente identica a quella prevista. Dalla scala QCE abbiamo eliminato 33 items (25 % del totale ), dalla scala WES 22 items ( 24 % ), dalla scala IMPC 7 items (17.5 % ). La seconda modalità con cui è stata verificata la validità è stata quella di comparare i risultati ottenuti dai tre questionari tra loro, o meglio di comparare i risultati ottenuti dalle subscale che misurano una medesima dimensione (validità convergente). In questo modo ci si attendeva che subscale simili presentassero punteggi abbastanza simili quindi alte correlazioni reciproche; nella tabella 10 presentiamo le correlazioni tra le subscale del questionario QCE e quelle del WES e IMPC; nella tabella 11 le correlazioni tra subscale del WES e quelle del questionario IMPC. Tab. 10 : Correlazioni tra fattori empirici delle subscale di QCE con WES e IMPC. Tab. 11 : Correlazioni tra fattori empirici delle subscale comuni dei questionari WES e IMPC. Le correlazioni tra QCE e WES sono in alcuni casi sufficientemente elevate come per le scale ” spirito di gruppo ” e ” coinvolgimento ”; moderate nelle scale ” pressione sul lavoro ” e ” sostegno dei superiori ”, nulla nella scala ” autonomia ”. Risultano discretamente elevate invece le correlazioni tra QCE e IMPC : vanno da un minimo di 0.42 per la scala ” autonomia ” ad un massimo di 0.52 per la scala ” spirito di gruppo ”. Le correlazioni tra WES e IMPC si sono calcolate su cinque fattori comuni ( v. tab. 8 ) ; abbiamo riportato valori elevati che vanno da un minimo di 0.41 per il fattore ” coesione ” ad un massimo di 0.64 per il fattore ” autonomia ”. Possiamo affermare che nei casi in cui è stato possibile confrontare i fattori comuni ai tre questionari abbiamo trovato complessivamente livelli di correlazione moderatamente elevati quindi possiamo affermare che la validità convergente dei questionari ha ottenuto conferme abbastanza soddisfacenti.
L’ analisi della varianza
Abbiamo infine condotto un’ ultima elaborazione statistica, l’analisi della varianza prendendo in considerazione le variabili indipendenti: anzianità di servizio, ambito di lavoro, ruolo, titolo di studio, età, sesso. Prima di passare alla descrizione dei risultati ottenuti mostriamo le medie e deviazioni standard del campione complessivo nei tre questionari.
Analisi della varianza per ambito di lavoro
L’analisi della varianza è uno dei metodi statistici più potenti e precisi per verificare l’esistenza di differenze non casuali fra le medie e deviazioni standard di una serie di misure effettuate su gruppi diversi di soggetti. Abbiamo voluto verificare, oltre ad una tendenza generale, se esistessero supporti statistico probabilistici circa reali differenze tra gruppi di soggetti che lavoravano in diverse aziende; come noto le categorie che abbiamo considerato nella nostra ricerca sono:
1. Commercio (QCE) (IMPC)
2. industria (WES) (IMPC)
3. Ente pubblico (QCE) (WES) (IMPC)
4. Terziario (QCE) (WES)
Nella tabella 13 sono illustrate le medie riportate nei diversi fattori o scale che compongono ciascun questionario; una colonna riporta il livello di significatività riscontrato nella differenza tra le medie. Notiamo come i dipendenti di enti pubblici riportino punteggi significativamente più bassi su tutte le scale dei tre questionari, sia rispetto all’industria che al commercio e terziario. Solamente le scale 8, 9 e 10 di WES non hanno mostrato significatività delle differenze tra gruppi. Anche con IMPC i dipendenti pubblici riportano punteggi inferiori su tutti i fattori, però questo questionario mostra differenze significative anche tra industria e commercio nelle subscale 1, 2 e 3 dove i lavoratori del commercio lamentano una minor autonomia rispetto ai lavoratori dell’ industria e questi ultimi percepiscono un più basso sostegno da parte dei superiori e una minor attenzione da parte dell’azienda all’ innovazione. Si avverte, come avevamo ipotizzato, un profondo solco tra aziende pubbliche e azienda private; i dipendenti pubblici si sentono scarsamente coinvolti, poco coesi, con pessimi rapporti con i superiori ecc. Dunque l’ appartenenza al settore pubblico sembra essere elemento che influenza negativamente la percezione del clima.
L’ analisi della varianza in funzione del ruolo
Dalla tabella 14 si evince come il gruppo con punteggi inferiori e significativamente differenti rispetto ad impiegati e quadri sia quello degli operai, come avevamo ipotizzato. Sorprendente è il risultato ottenuto dai dirigenti che non sempre presentano differenze significative con gli operai. Questo dato ci ha imposto di analizzare più approfonditamente il dato relativo ai dirigenti e abbiamo notato che la totalità dei soggetti di questa categoria fa parte degli enti pubblici; pur appartenendo ad una categoria professionale di alto livello, i dirigenti degli enti pubblici appaiono non differenziarsi dalle altre categorie professionali (non appartenenti ad enti pubblici). Ciò sembrerebbe confermare le considerazioni fatte sulle aziende pubbliche e sul clima che in esse regna. Rispetto al questionario QCE gli operai differiscono dalle altre professioni in tutte le subscale previste. Impiegati e quadri non mostrano differenze significative rispetto ai dirigenti, anche se questo gruppo riporta punteggi inferiori rispetto ai primi. I confronti effettuati con i dati rilevati con la scala WES confermano quelli emersi con la scala QCE; soltanto nella subscala 7 “ chiarezza “ non si mostrano differenze significative. Anche IMPC conferma i risultati ottenuti da WES e QCE.
L’ analisi della varianza per livello di istruzione Nella tabella 15 si mette in evidenza come il clima aziendale sia vissuto più negativamente in maniera statisticamente significativa dagli individui con livello culturale più basso (licenza e elementare e licenza media). Ciascun gruppo differisce dall’ altro in maniera significativa: i soggetti con licenza elementare riportano i punteggi più bassi in assoluto su tutte le subscale del QCE e su 4 subscale del IMPC. Non sono riportati i valori del WES perché non ha evidenziato differenze significative in nessun fattore, pur confermando la tendenza dei questionari QCE e IMPC. Il livello culturale dunque sembra influenzare le percezioni del clima lavorativo in tutti i suoi aspetti, mediandone il significato, come se una più elevata cultura mettesse al riparo o filtrasse gli aspetti più negativi di una medesima situazione di lavoro.
L’ analisi della varianza per fasce d’età
La tabella 16 riporta i risultati ottenuti dall’ analisi della varianza per fasce d’ età. In questo caso IMPC non ha evidenziato nessuna differenza tra soggetti; QCE soltanto nelle subscale 6 e 8 per i gruppi di età 35-44 con 25-34. WES invece mostra su tutte le subscale differenze statisticamente significative tra il gruppo 35-44 anni, che dà risposte positive, e il gruppo 25-34 anni che riportano punteggi più bassi su tutti i fattori. I risultati hanno un andamento di questo tipo: i soggetti con età inferiore a 25 anni danno risposte più positive nel complesso rispetto ai soggetti compresi nella fascia d’ età 25-35 anni, però tra questi due gruppi non si rilevano differenze statisticamente significative. I soggetti della fascia d’ età oltre 45 anni danno risposte più negative rispetto al gruppo di età compresa tra 35-44 anni, senza però mostrare differenze significative. I soggetti della fascia 25-34 anni affermano di non svolgere un lavoro appagante e stimolante, coinvolgente. Non trovano soddisfazione nel rapporto con i colleghi vivendo una condizione di maggior solitudine ed isolamento. Sentono di non poter fare ciò che si preferisce e desiderano forse più degli altri gruppi di età sperimentare cose nuove, non sentono valorizzate le proprie potenzialità dai superiori. I soggetti della fascia 35-44 anni affermano di vivere una situazione lavorativa sostanzialmente positiva; tra questi due gruppi si sono riscontrate differenze statisticamente significative. La scala WES si è rivelata in grado di discriminare tra i soggetti di età diversa anche se differenze significative si hanno soltanto tra due fasce d’ età. E’ ipotizzabile che con un campione più ampio e meglio stratificato si evidenzierebbero differenze statisticamente significative tra tutte le categorie.
L’ analisi della varianza per sesso
Abbiamo anche confrontato i punteggi di maschi e femmine attraverso analisi della varianza. Balza subito evidente, come vediamo nelle tabella 17, come i maschi abbiano punteggi inferiori su tutte le subscale di QCE. I questionari WES e IMPC non evidenziano differenze statisticamente significative in nessuna subscala, rilevandosi inadeguati nel discriminare tra soggetti di sesso diverso. Le femmine affermano di avere migliori rapporti con i superiori e di non percepire forti pressioni lavorative, hanno migliori rapporti interpersonali e sviluppano un più elevato spirito di gruppo. Si sentono più coinvolte e responsabili dei maschi, più autonome, ed è più chiaro il loro ruolo o compito. Sentono di poter partecipare alle comunicazioni aziendali e percepiscono un clima di maggior apertura sociale nell’ azienda in cui lavorano. Il sesso dei soggetti sembra dunque influenzare la percezione del clima aziendale.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
I tre strumenti di misura hanno dimostrato accettabili caratteristiche da un punto di vista metrico. QCE, pur presentando minori livelli di attendibilità e validità, è il questionario che ha discriminato meglio le sottocategorie campionarie. WES e IMPC sono più potenti negli indici di attendibilità e validità, ma meno in grado di discriminare le diverse sottocategorie in esame. WES ha anche confermato quasi perfettamente la struttura fattoriale prevista dal manuale originale. Da notare che nessuno dei tre questionari ha evidenziato differenze statisticamente rilevanti rispetto alla variabile anzianità di servizio, contrariamente a quanto avevamo ipotizzato. A questo punto possiamo tracciare una sorta di ” identikit ” del soggetto che, all’ interno delle organizzazioni prese in esame, mostra un maggior grado di benessere e, per inverso, quegli individui che evidenziano un maggior grado di malessere:
a. Tipo positivo: appartiene al settore terziario, quadro, femmina, con età tra 35-44 anni e livello di istruzione elevato ( laurea )
b. Tipo negativo: appartiene al settore ente pubblico, operaio, maschio, con età tra 25-34 anni e un basso livello culturale.
Come ci aspettavamo, gli operai sono la categoria professionale che maggiormente soffre all’interno delle organizzazioni lavorative; notiamo invece una sostanziale omogeneità tra impiegati e quadri, diversamente da quanto avevamo ipotizzato. Il risultato dei dirigenti lo giudichiamo scarsamente rilevante poiché nel nostro campione erano tutti appartenenti agli enti pubblici. I soggetti di età compresa tra 25-34 anni percepiscono un clima più teso e conflittuale, più ostile e negativo. Non possiamo affermare che siamo di fronte a processi degenerativi dovuti alla permanenza in azienda, poiché l’anzianità non influisce sui risultati. Forse questi soggetti scontano processi di illusione che si erano formati agli esordi dell’attività lavorativa, forse sono quei soggetti che hanno maggiori aspettative frustrate sul posto di lavoro, che verranno poi riconosciute oppure sopite, nelle fasce d’ età immediatamente superiori.
Anche il livello culturale del soggetto influenza la percezione del clima, i laureati riportano punteggi elevati, si sentono maggiormente gratificati dal lavoro, mentre quelli con licenza elementare soffrono maggiormente. Lo stesso vale per il sesso dei soggetti: i maschi percepiscono un clima più negativo rispetto alle femmine che sembrano meglio adattarsi alla realtà lavorativa.
Le variabili che influenzano la percezione del clima aziendale sono dunque: ambito di lavoro ( azienda pubblica vs. azienda privata ), età e sesso ( variabili anagrafiche ), livello culturale e ruolo ricoperto in azienda. Sarebbe auspicabile ottenere dai tre questionari qui analizzati un unico strumento di misura isolando quelle subscale più potenti da un punto di vista metrico ( attendibilità e validità ) e che riescano a discriminare tra soggetti appartenenti ai diversi sottogruppi.
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