Muoversi sul lavoro in tempo di crisi
Oggi nessuno è più garantito. E cambiano le regole dell’occupazione. Ecco le migliori in queste pagine.
SE HAI TIMORE DI PERDERE IL POSTO
1. Nella mia azienda stanno licenziando. Ci sono strategie utili per “mettermi in buona luce” e scongiurare questo pericolo? Potrebbe essere giunto il momento di avanzare alcune proposte pratiche ed operative che avresti sempre voluto dire ai tuoi superiori, alle rappresentanze sindacali, oppure ai colleghi per recuperare produttività, aprire nuove opportunità, migliorare le condizioni di lavoro. In una parola un maggior coinvolgimento ed interessamento alle cose di lavoro potrebbe favorire l’attivazione di un circolo virtuoso per te e per i tuoi colleghi, potrebbe attivare la visione dei dipendenti non come appendici, ma come reali risorse umane: superiamo la crisi tutti insieme. Questa soluzione ti sembra idealistica e tutto sommato impraticabile? Probabilmente non hai tutti i torti, ma vale la pena provare. In ogni caso ciò che non devi fare per metterti in buona luce è l’accettazione passiva di una perdita di diritti e dei valori professionali ed umani.
2. È sbagliato cominciare a muoversi per cercare un altro impiego se, per il momento, ne ho già uno? Questa mossa potrebbe giocare a mio sfavore? Se lavori in un’azienda in crisi non è affatto sbagliato, anzi l’azienda potrebbe anche apprezzare ed agevolare il trasferimento. Può giocare a tuo sfavore soltanto se contestualmente si verifica un disimpegno e disinteresse per la tua mansione oppure se sei già stato bersagliato da critiche in tal senso.
3. Per un dirigente (quindi non giovanissimo, almeno over 40) la perdita del posto di lavoro è più difficile da affrontare? Come dovrebbe comportarsi? Come vivere la situazione senza frustrazioni? La perdita del posto di lavoro è un evento destabilizzante a qualsiasi età se il lavoro costituisce l’unica fonte di reddito personale e/o familiare. L’età è un dei fattori che può rendere la condizione di disoccupato un’esperienza diversa, ma non è l’unico; infatti l’esperienza di licenziamento per le persone cambia anche in rapporto ad altri elementi di differenziazione sociale, come per esempio la dislocazione geografica (Nord-Centro-Sud), il sesso, il settore produttivo, il livello culturale. Recenti ricerche hanno evidenziato che il licenziamento produce effetti più pesanti sulla salute mentale e psichica negli uomini piuttosto che nelle donne e per le persone di età tra i 40-55 anni. Si è inoltre rilevato oltre alle dimensioni sociali del fenomeno disoccupazione (supporto sociale della comunità, ammortizzatori sociali, altri meccanismi di assistenza previsti) i fattori in grado di moderare gli effetti negativi della disoccupazione sono anche di origine psicologico-individuale: il locus of control, la self-efficacy, e la capacità di problem solving. Per vivere la situazione con minore frustrazione occorre continuare a gestire il tempo come se si lavorasse (alzarsi la mattina più o meno alla stessa ora di sempre), partecipare alla vita sociale (fare passeggiate, escursioni, partecipare a corsi, lezioni, conferenze, dibattiti) della città o del quartiere, dedicarsi alle attività domestiche, ricercare attivamente un nuovo lavoro, ecc. Questo può mitigare gli effetti traumatizzanti della perdita di lavoro, che comunque sono presenti, e può rendere meno probabile le cadute depressive o più in generale un peggioramento della salute mentale.
4. Con la paura dei licenziamenti, nel mio ufficio c’è un’atmosfera pesantissima, che mette a repentaglio anche la qualità del lavoro oltre che i rapporti umani tra colleghi e la mia salute. Qual è l’atteggiamento giusto per migliorare le cose? E’quello di non lasciarsi trascinare dal clima vigente nel gruppo, individuando le cause del disagio e distinguendo i problemi dalle persone. La minaccia costituita dalla paura di essere licenziato è una fonte di pressione disgregativa nei gruppi scarsamente coesi, e poco collaborativi; la stessa minaccia operata su gruppi coesi e solidali non ha gli stessi effetti negativi, si potenziano invece gli atteggiamenti pro sociali.
SE DESIDERI MIGLIORARE LA TUA POSIZIONE
5. Nonostante la crisi, sono stata contattata da un’altra società per un nuovo incarico: in questo momento muoversi potrebbe rivelarsi un passo falso? Dal punto di vista dello sviluppo di carriera e professionale potrebbe rivelarsi un passo falso soltanto se l’altra società non naviga in buone acque.
6. Lavoro da molti anni, con impegno, nella stessa azienda e sento che è arrivato il momento di chiedere un aumento: se ci provo rischio di compiere un passo falso? Al di là degli “scatti di anzianità” andrebbe sottolineato quali sono le tue capacità e competenze acquisite negli anni, quale è il tuo contributo di crescita per l’azienda, e come la tua esperienza sia possa considerare un valore per l’azienda stessa.
7. Oltre un anno fa i miei superiori mi avevano promesso un aumento di stipendio entro la fine del 2009. Ma adesso con la scusa della crisi, non ne vogliono più sapere. Come dovrei reagire? Valutare in modo obiettivo se la crisi sia una scusa per non concederti l’aumento di stipendio. Chiarito questo aspetto dovresti chiarire con la direzione quanto è importante mantenere le promesse per la fiducia e il morale in azienda.
8. In famiglia me lo sconsigliano tutti ma – in società con un’amica- vorrei realizzare il mio sogno di mettermi in proprio gestendo un agriturismo. E se dovessi fallire? Occorrerebbe capire perché in famiglia hanno un atteggiamento così negativo. E’ vero spesso si preferisce non perturbare un equilibrio, ma forse possono temere che tu non abbia le competenze e le risorse per farlo. Le probabilità di fallire in un’attività in parte dipendono dalle capacità “imprenditoriali” dei soci, in parte da dall’andamento del settore. Se hai valutato insieme ad un esperto nel settore (chi ha già un agriturismo per esempio) tutti i vantaggi e gli svantaggi della nuova attività, se tu e la tua amica vi siete confrontati con un terzo soggetto “neutrale” esterno che ha valutato le vostre attitudini, le probabilità di fallire diminuiscono di molto. E se nonostante tutto questo dovessi fallire ugualmente, diciamo che la responsabilità è ben distribuita, che non hai fatto salto nel buio non sapendo a cosa saresti andata incontro. D’altra parte qualsiasi attività imprenditoriale comporta un certo margine di rischio, e c’è da mettere in conto che non sempre le cose non vanno bene.
(*) le risposte ai lettori sul tema dell’articolo scritto da Elisabetta Tramonto comparso su Donna Moderna (ottobre 2009)
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